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Ipertensione, meno rischi con “massima” sotto 120: linee guida da rivedere?

15/09/2015

Nel trattamento dell’ipertensione la “massima” dovrebbe essere portata ad almeno 120 millimetri di mercurio (mmHg) e non sotto 140. Al di qua di questa soglia, infatti, il rischio di ictus, infarto, insufficienza cardiaca e il rischio di morte sono più bassi del 30 e del 25 per cento rispetto ai 140 mmHg di pressione del sangue in soggetti al di sopra dei 50 anni. Da queste indicazioni potrebbe arrivare una spinta alla revisione delle linee guida internazionali.

Che sia necessario abbassare la pressione del sangue sistolica tutti i medici concordano, ma di quanto? Il fatidico numero di 120 mmHg è stato individuato da uno studio condotto dall’Istituto Nazionale degli Stati Uniti per il Cuore, i Polmoni e il Sangue (NIH-HLB). Lo studio è stato interrotto con oltre un anno d’anticipo vista la solidità di quanto emerso: i risultati erano infatti attesi nel 2017.

Lo studio denominato Sprint ha coinvolto 9300 pazienti di entrambi i sessi, di almeno 50 anni di età, ipertesi, ad alto rischio di malattie cardiovascolari o affetti da insufficienza renale. I pazienti sono stati divisi in due gruppi: uno doveva mantenere la pressione sistolica sotto i 140, assumendo solo due farmaci, l’altro sotto i 120 assumendone invece tre. Dopo una prima raccolta dati è emerso che nel secondo gruppo i rischi di infarto, ictus e insufficienza cardiaca erano più bassi di un terzo rispetto al primo e il rischio di morte ridotto di un quarto.

(Per approfondire leggi qui: Ictus e infarto, solo una questione genetica?)

Secondo la classificazione del Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation and Treatment of High Blood Pressure si considera “normale” una pressione sistolica inferiore a 120 mmHg e una pressione diastolica (la “minima”) inferiore a 80. Al di sopra dei 140 mmHg di “massima” o dei 90 mmHg di minima si è ipertesi. A conclusione dello studio sarà dunque necessario rivedere le linee guida?

«Le linee guida internazionali potrebbero essere riviste. Ed è anche probabile che a questo studio seguano ulteriori ricerche, altrettanto autorevoli, atte a consolidare questo dato», dice il professor Gianluigi Condorelli, direttore del Dipartimento Cardiovascolare dell’ospedale Humanitas.

Cosa potrebbe derivare da questa ricerca? «Questa ricerca ha un effetto molto importante in termini numerici perché non fa riferimento solo agli ipertesi ma anche ai pazienti cardiovascolari con valori di pressione “borderline”, a rischio. La loro pressione arteriosa sistolica dovrebbe, pertanto, essere monitorata in maniera più accurata e trattata conseguentemente in modo tale da raggiungere una soglia di valori sistolici che quanto meno si avvicini a 120 mmHg», risponde lo specialista.

(Per approfondire leggi qui: Donne, l’infarto è più pericoloso perché non si riconoscono i sintomi)

Cosa rischia chi ha valori di pressione “massima” troppo alti? «L’ipertensione è un fattore di rischio cardiovascolare che aumenta le probabilità d’infarto, ictus, insufficienza renale e aritmie cardiache; ha un effetto negativo sinergico sulla patologia aterosclerotica o sulle conseguenze cardiovascolari del diabete mellito», conclude il professor Condorelli.

 

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