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Benessere

Sindrome dell’intestino irritabile, quale legame con il cervello

26/05/2017

Il rapporto tra cervello e intestino è molto stretto, tanto che le patologie che colpiscono il secondo possono derivare dal primo o sul primo sono in grado di produrre effetti negativi.

Questo è particolamente vero nel caso della sindrome dell’intestino irritabile, come sottolinea il dottor Nicola Gaffuri, responsabile dell’Unità Operativa di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva di Humanitas Gavazzeni Bergamo.

Che legame c’è tra il cervello e la sindrome dell’intestino irritabile?

«Sembra proprio che questa patologia abbia origine da un’interazione cervello/intestino. Tra i due organi c’è molta correlazione. Spesso alla base dei disturbi intestinali ci sono motivi legati allo stress, all’ansia, all’emotività, alla depressione. Sono tutti aspetti che devono essere tenuti in conto quando si cura un paziente, che deve dunque essere tenuto sotto controllo non solo dal punto di vista gastroenterologico».

In quale modo la sindrome dell’intestino irritabile può influire sulla vita sociale della persona che ne è colpita?

«Basti pensare ai disturbi provocati da questa malattia, che colpisce più le donne degli uomini. Si parla di dolori e gonfiori addominali, scariche non regolari, stitichezza o diarrea: tutte situazioni che condizionano la vita della persona, che non le permettono di avere un’esistenza regolare, soprattutto dal punto di vista psicologico e sociale. La guarigione da questa malattia è dunque anche una liberazione a livello mentale».

Si parla sempre più di dieta Fodmap. Come funziona ed è davvero così efficace?

«La dieta Fodmap si basa sull’eliminazione di quegli alimenti – come certi tipi di frutti – che contenendo grandi quantità di zuccheri e di carboidrati provocano una fermentazione maggiore, a livello di intestino, di quello che mangiamo. Togliendo questi alimenti, con l’aiuto di un nutrizionista, in teoria si dovrebbe stare meglio. Recenti studi hanno però dimostrato che eliminando del tutto questi alimenti si rischia, a lungo termine, di produrre il risultato contrario perché si vengono a formare batteri cattivi in grado di influire in maniera negativa sul funzionamento dell’intestino».

Quindi, come ci si deve comportare?

«Bisognerebbe fare questa dieta ad esclusione per un periodo non superiore a otto settimane e poi – sempre su indicazione del nutrizionista – riprendere pian piano a mangiare questi alimenti, rimodificando la flora batterica intestinale anche con l’aiuto di probiotici, farmaci che ormai si usano molto di frequente e che vanno benissimo in casi di questo tipo».

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