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Cure e farmaci

Anestesia e terapia intensiva, fra ricerca e approcci innovativi

10/12/2018

Reparti aperti ai familiari, con intervalli di luce e buio che rispettino i ritmi circadiani e il malato, che, soprattutto quando si trova in condizioni critiche, deve trovarsi in un ambiente consono al ritmo sonno-veglia. Una visione moderna e un approccio innovativo all’anestesia e alla terapia intensiva prevede lo studio di protocolli di cura specifici e mirati per il paziente critico e il malato ad alto rischio chirurgico. Ed è proprio questo lo scopo delle ricerche del professor Maurizio Cecconi, Direttore del Dipartimento Anestesia e Terapie Intensive in Humanitas e docente di Humanitas University, di recente eletto Presidente per il biennio 2020-2021 della European Society of Intensive Care Medicine (ESICM), la Società Europea di Terapia Intensiva.

 

La stabilità dei parametri per ridurre i rischi post operatori

“Lavoro per raggiungere per ciascun paziente un equilibrio, una stabilità dei parametri quali la pressione del sangue, il trasporto dell’ossigeno ai tessuti, la funzionalità del cuore sia durante sia dopo l’intervento – ha spiegato lo specialista -. Arrivare a questa stabilità riduce il rischio e le complicanze post operatorie e la degenza, da cui ne consegue sia un miglioramento della qualità dei ricoveri sia un’efficienza maggiore degli ospedali stessi”. Lavorare con passione in anestesia e terapia intensiva, insomma, non significa fornire una semplice assistenza al malato nel periodo che precede e segue l’intervento, ma avere una visione e approccio globale in cui la ricerca va a braccetto con la clinica, teoria e pratica insieme per risultati sempre migliori.

“La mia visione di medicina unisce la clinica alla ricerca, con grandi potenzialità – ha continuato il professor Cecconi, rientrato in Italia dopo diversi anni di lavoro a Londra, dove è stato direttore di Terapia Intensiva negli ospedali della St George’s University -: chi si impegna nella ricerca arriva anche a risultati clinici migliori”.

Che cos’è il rischio sepsi?

Di fronte a un’infezione il nostro organismo si difende per contrastarla e debellarla, riportando la situazione alla normalità ed eliminando l’agente infettivo. Ma può succedere che la reazione del nostro corpo non sia adeguata e diventi causa di una condizione pericolosa per la vita. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) questa complicazione colpisce 30 milioni di persone, con un rischio potenziale di qualche milione di morti.

“La sepsi è una risposta sregolata e sproporzionata del nostro organismo a un’infezione – spiega il professor Cecconi -. Può capitare di prendere un’influenza, un raffreddore o una polmonite, che non rappresentano di per sé una sepsi; ma se la risposta dell’organismo diventa eccessiva può instaurarsi questa condizione”. “È molto importante che sia la popolazione sia i medici riconoscano tempestivamente i segni e i sintomi di sepsi, quali temperatura molto alta, respiro affannoso, confusione mentale, che indicano che l’infezione sta diventando importante”, spiega ancora il professor Cecconi. “Il paziente con questi segni e sintomi deve essere portato al più presto in ospedale per ricevere le cure adeguate che possono salvargli la vita. La Società Europea di Terapia Intensiva e la Società Americana di Medicina Critica hanno sviluppato la Surviving Sepsis Campaign, una serie di raccomandazioni applicabili in tutti gli ospedali proprio per ridurre la mortalità legata alla sepsi, fra cui per esempio la somministrazione di una terapia antibiotica precoce o l’esecuzione delle emoculture per cercare nel sangue l’agente responsabile dell’infezione”.

 

La figura dell’anestesista e un reparto moderno

La figura dell’anestesista e il suo ruolo nei confronti del malato sono al centro dell’attenzione e ricerche del professor Cecconi, che vede una terapia intensiva moderna, con reparti aperti ai familiari. “Nell’ambito dell’anestesia – ha proseguito e concluso lo specialista – la ricerca dovrà focalizzare gli sforzi sull’identificazione più precisa dei malati a rischio per individualizzare i percorsi perioperatori, sia per i casi di routine e a maggior ragione per quelli più critici; l’anestesista, accanto al successo tecnico dell’intervento, avrà anche lo sguardo e l’attenzione sull’importanza del recupero successivo della qualità di vita del paziente”.

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