Stai leggendo Ansia da prestazione e quel “blackout” del cervello

Magazine

Ansia da prestazione e quel “blackout” del cervello

17/03/2016

Quando l’ansia da prestazione ci inchioda, il cervello va in “blackout”. Uno “scivolone” durante una gara sportiva o una “stecca” canora spesso sono dovute all’ansia ma con la complicità di chi ci sta di fronte. Capire che chi ci osserva supporta il buon esito della nostra performance può fare la differenza. Sono le conclusioni di uno studio di ricercatori della University of Sussex e della Brighton and Sussex Medical School (Gran Bretagna).

Gli studiosi hanno identificato un circuito cerebrale che ci porta a “inciampare” proprio quando non lo vogliamo servendosi del neuroimaging funzionale. Ai partecipanti è stato chiesto di eseguire un semplice compito: esercitare un preciso quantitativo di forza mentre afferravano un oggetto. Durante l’esperimento le “cavie” hanno guardato un video in cui c’erano delle persone che sembravano guardare l’esecuzione del loro compito e un altro in cui sembravano osservare qualcun altro.

Il cervello reagisce anche in base allo sguardo altrui

Nel primo caso, i partecipanti, oltre a riferire di sentirsi molto più ansiosi, esercitavano una presa maggiore sull’oggetto senza rendersene conto. Grazie alle immagini della risonanza magnetica è emerso che nel cervello dei partecipanti, sotto l’occhio vigile di chi li osservava, si “spegneva” una precisa area, la corteccia parietale inferiore.

Quest’area aiuta a controllare le nostre funzioni sensomotorie e lavora con un’altra area, il solco temporale superiore posteriore: grazie a questa connessione deduciamo cosa una persona sta pensando di noi sulla base delle sue espressioni facciali. Elaborando questi stimoli agiamo di conseguenza: se sentiamo che chi ci osserva desidera la nostra riuscita, e ci supporta, la nostra prestazione avrà successo. Al contrario, la corteccia parietale inferiore si “spegne” e falliamo: preoccupandoci di chi ci sta di fronte restiamo vittima dell’ansia da prestazione.

Lo studio, pubblicato su Scientific Reports, ha valutato il rapporto tra ansia e prestazione motoria. Lo stesso discorso può valere per le performance cognitive come un esame universitario?

«Sì, è possibile. L’ansia può essere fonte di distrazione, dirompente e invalidante. L’impatto dell’ansia sulle funzioni cognitive è innegabile», risponde la dottoressa Elisabetta Menna, ricercatrice dell’ospedale Humanitas e dell’Istituto di Neuroscienze del Cnr.

L’ansia può pregiudicare le performance congitive

«È stato dimostrato che l’ansia altera i processi di working memory (memoria di lavoro o memoria a breve termine) verbali e spaziali. Per working memory si intende un sistema per l’immagazzinamento temporaneo e la prima gestione/manipolazione dell’informazione. Questo sistema costituisce un link funzionale tra percezione sensoriale e azione controllata».

«La maggior parte delle persone che hanno sperimentato uno stato intenso di apprensione, con mani sudate e cuore martellante, hanno potuto osservare un deterioramento delle loro performance cognitive come dare un discorso pubblico. I pazienti che soffrono di ansia sociale – conclude la specialista – sono paralizzati quando entrano in una stanza piena persone o devono sostenere un’importante riunione sul posto di lavoro».

Articoli che potrebbero interessarti

Non perderti i nostri consigli sulla tua salute

Registrati per la newsletter settimanale di Humanitas Salute e ricevi aggiornamenti su prevenzione, nutrizione, lifestyle e consigli per migliorare il tuo stile di vita