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Salvo Anzaldi, di corsa a New York per dare speranza a tutti gli emofilici

30/10/2015

Alla prossima maratona di New York ci saranno anche cinque corridori speciali. Una piccola pattuglia di italiani capitanati da Salvo Anzaldi, giornalista e collaboratore di Humanitas, affetti da emofilia. Domenica 1° novembre correranno per oltre 42 km tra le strade e i ponti della città americana per dare una speranza a tutti gli emofilici.

L’emofilia è una malattia ereditaria rara congenita che colpisce quasi esclusivamente i maschi e consiste nella carenza di una proteina del sangue necessaria per la sua coagulazione. Al mondo affligge oggi circa 400mila soggetti e in Italia interessa circa 7mila persone. Una conseguenza diretta dell’emofilia è l’artropatia emofilica, causata dai sanguinamenti spontanei che possono riguardare le cavità articolari.

Come moltissimi emofilici della sua generazione, Salvo ne è stato colpito e per questo motivo, nel 2005, è dovuto ricorrere a un intervento di chirurgia maggiore per il suo ginocchio destro. Gli è stata impiantata una protesi che gli ha permesso di recuperare un eccellente range articolare e che oggi, dopo un lungo periodo di allenamento specifico, lo mette in condizione di indossare scarpini e pettorale per correre nella Grande Mela assieme a decine di migliaia di altri podisti da tutto il mondo.

(Per approfondire leggi qui: Milano Marathon: dopo il cancro, la maratona)

L’idea della maratona di New York è venuta in mente al medico che ha operato i cinque

Con i suoi 46 anni, Salvo è il veterano del gruppo: al suo fianco altri quattro giovani adulti, il più “piccolo” dei quali ha da poco compiuto trent’anni. Uno di loro arriva da Milano, un altro dall’Abruzzo, mentre Salvo e altri due provengono da Torino. Oltre a essere emofilici, i cinque maratoneti sono tutti passati dalle mani del dottor Luigi Solimeno, il direttore del reparto di Ortopedia e traumatologia del Policlinico di Milano, che in tempi diversi li ha operati e che per primo ha pensato alla maratona di New York.

«L’idea è stata sua e noi abbiamo accettato con entusiasmo: questa maratona sarà l’atto conclusivo di un percorso che dura da un anno. Per me, oltre a rappresentare una bella gratificazione personale, sarà soprattutto un bel modo per veicolare un messaggio di fiducia rivolto ai bambini emofilici e ai loro genitori. Se ce l’ho fatta io, possono farcela anche loro», dice Salvo. Che aggiunge: «È l’occasione giusta per infrangere il tabù che da sempre rappresenta l’emofilico come un paziente fragile e perciò immobile. Nella mia vita ho sempre cercato di farmela scivolare addosso, attento a evitare le sue trappole ma ancor più attento a non lasciarmi sfuggire nessuna tra le possibilità a mia disposizione. A maggior ragione, oggi deve essere così per chi ha a disposizione cure molto più efficaci di quelle esistenti quando io ero bambino».

(Per approfondire leggi qui: “Io non corro solo”: dallo sport un contributo alla ricerca scientifica)

L’emofilia non è una condanna all’immobilità

Come vi siete preparati per la maratona? «Così come i miei quattro compagni, sono stato seguito costantemente da una fisioterapista, la dottoressa Eleonora Forneris della Città della salute e della scienza di Torino. È stata lei a definire settimana per settimana un programma di allenamento che ci ha portati in piscina e in palestra, a correre su strada e in pista e persino in montagna. Abbiamo fatto tantissime escursioni a intensità crescenti. È come se la dottoressa Forneris mi avesse tolto la ruggine dalle articolazioni e fornito l’adeguato tono muscolare necessario per sostenere una maratona», ricorda con piacere.

Il gruppo ha potuto contare sull’apporto di un’équipe multidisciplinare composta anche da ematologi dei Centri emofilia di Torino, Milano e Pescara. «Io e i miei compagni d’avventura abbiamo dimostrato che gli allenamenti, resi possibili dalla terapia medica e fisioterapica, possono migliorare notevolmente le condizioni cliniche del sistema muscolo-scheletrico di un emofilico fino a consentire performance fino a ieri ritenute impossibili», aggiunge Salvo.

La spedizione dei “fantastici 5” è stata resa possibile dalla Fondazione Paracelso di Milano che si occupa di malattie rare e che ha fornito il sostegno economico e logistico necessario per far partecipare il gruppo alla maratona di New York. E chissà che correre non si trasformi in un’abitudine: «Se continuerò a farlo? Magari su distanze più ridotte ma sempre con lo stesso spirito: dimostrare che l’emofilia non è affatto una condanna all’immobilità», dice in conclusione Salvo.

(Per approfondire leggi qui: Perché iniziare a correre?)

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