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Diabete tipo 2, una nuova terapia per contenere la produzione di glucosio

07/12/2015

Abbassare il livello di glucosio nel sangue limitandone la produzione. Una nuova strategia per il trattamento del diabete di tipo 2, alternativa rispetto al tentativo di rendere l’organismo più sensibile a rispondere meglio all’insulina, l’ormone prodotto dal pancreas proprio per abbassare il livello di glucosio circolante.

Questo nuovo approccio è stato definito da un team di ricercatori della Washington University School of Medicine in St. Louis (Stati Uniti) e illustrato in un articolo pubblicato su Cell Metabolism. La ricerca è stata condotta su modelli sperimentali. Gli scienziati hanno agito su una proteina del fegato coinvolta nella produzione di glucosio, rendendola inattiva. Questa proteina, infatti, trasporta il piruvato, a sua volta componente del glucosio, dal sangue alle cellule del fegato.

Secondo i ricercatori le indicazioni emerse dalla ricerca potrebbero essere utili per sviluppare un farmaco in grado di interferire con la produzione del glucosio nel fegato. Oltre al trattamento del diabete di tipo 2, un eventuale terapia di questo genere potrebbe aiutare anche i pazienti con steatosi epatica non alcolica, una condizione comune nelle persone affette da obesità. Approfondiamo l’argomento con i professionisti di Humanitas.

Quali sono le differenze tra questa strategia e quella che rende l’organismo più sensibile all’insulina?

In realtà sono sinergici. Uno dei difetti causa del diabete tipo 2 è la cosiddetta insulino-resistenza (sulla cui causa a sua volta si potrebbe scrivere un trattato ma che a tutt’oggi non completamente ben chiarita) che porta ad una ridotta efficacia dell’insulina sugli organi target tra cui il fegato. Nel fegato l’effetto finale è quello di una mancata inibizione da parte dell’insulina proprio sulla gluconeogenesi epatica (la produzione di zucchero da parte del fegato a partire da precursori proteici). Quindi farmaci che riducono l’insulino resistenza (insulino-sensitizzanti) agiscono anche a questo livello. Metformina e Glitazoni riconoscono questo meccanismo nel loro effetto ipoglicemizzante (meglio dire normoglicemizzante).

L’approccio descritto nell’articolo in questione invece agisce riducendo l’apporto di substrato (il piruvato) nel mitocondrio (il laboratorio intracellulare dove avviene materialmente la gluconeogenesi), avendo quindi come effetto finale la ridotta produzione di zucchero da parte del fegato senza però indurre una modifica nell’efficacia dell’insulina.

Un farmaco che conterrebbe la produzione di glucosio nel fegato potrebbe risultare efficace?

Certo, agirebbe soprattutto nell’iperglicemia a digiuno, uno degli eventi che stupiscono sempre il paziente diabetico quando si ritrova magari valori più elevati di glicemia rispetto a quelli rilevati dopo i pasti. Riducendo la glicemia a digiuno si avrebbe comunque un effetto positivo anche sulla iperglicemia postprandiale e quindi sul compenso metabolico in toto, anche se il diabete riconosce anche altri difetti, tipo la ridotta secrezione insulinica glucosio indotta (corretta dai cosiddetti farmaci incretinici) e l’alterato riassorbimento renale del glucosio (corretta dai farmaci glicosurici).

(Per approfondire leggi qui: Diabete di tipo 2? Colazione energetica e cena leggera)

Perché potrebbe essere utile anche per la steatosi epatica non alcolica?

L’azione di normalizzazione del metabolismo glucidico avrebbe un effetto positivo anche sul metabolismo dei grassi, porterebbe ad una riduzione dei NEFA (acidi grassi liberi circolanti) ed una ridistribuzione da grasso viscerale a grasso sottocutaneo, quindi riducendo un altro difetto etiopatogenetico della sindrome metabolica e del diabete tipo 2.

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