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Ernia addominale, ecco i referti “social” e le protesi intelligenti

20/05/2015

È il motivo per cui 200mila pazienti finiscono ogni anno sotto i ferri. L’ernia addominale è la causa d’intervento più comune. Le nuove linee guida internazionali sono state realizzate in occasione della 1° Conferenza Mondiale sulla Chirurgia dell’Ernia Addominale, che si è svolta a Milano ad aprile. L’operazione di domani sarà sempre più personalizzata, con l’ausilio di robot e protesi intelligenti e la possibilità dei medici di condividere i referti sui social network. Gli esperti potranno confrontarsi on line per sciogliere dubbi su particolari aspetti d’interesse clinico.

Sono due milioni gli italiani a rischio; ogni anno, invece, circa 75mila persone accusano questo disturbo, con una netta prevalenza tra gli uomini (rapporto di 8 a 1). La maggior parte di interventi è per l’ernia inguinale. Le linee guida forniscono standard per l’esecuzione delle prestazioni e puntano ad accrescere l’efficacia degli interventi. Ma quali vantaggi derivano dalla loro adozione? Risponde il dottor Stefano Bona, responsabile della sezione di Chirurgia generale e day surgery di Humanitas: «L’importanza sta nel poter disporre di standard di riferimento per il trattamento delle ernie della parete addominale. Tali linee guida riguardano sia la fase diagnostica che le indicazioni terapeutiche, la tecnica chirurgica ed anestesiologica e la gestione postoperatoria del paziente. Le indicazioni sono ricavate da studi clinici condotti su ampie popolazioni, spesso riunendo le casistiche di più centri di riferimento, e sono integrate dal parere di chirurghi esperti. Garanti sono le società scientifiche nazionali e internazionali».

«Le linee guida – aggiunge – servono anche per la formazione dei giovani chirurghi e per stimolare la ricerca scientifica. La sfida più importante sta nella loro diffusione e nel verificarne l’estensiva applicazione».

Come si svolge un intervento standard? «L’intervento chirurgico è generalmente indicato indipendentemente dalla presenza di sintomi. Lo scopo è prevenire la comparsa o l’aggravamento di disturbi correlati alla presenza dell’ernia, ma soprattutto evitare complicanze acute e spesso gravi come l’incarceramento o lo strozzamento, che possono richiedere un intervento in urgenza e comportano rischi elevati. A maggior ragione l’intervento si rende necessario quando l’ernia provoca sintomi che possono variare dal senso di peso e tensione locale a un dolore vero e proprio. A volte la sintomatologia, che in genere si manifesta nel movimento, durante gli sforzi e l’attività fisica, può essere invalidante», continua lo specialista.

 

Dopo l’intervento il rischio di recidiva per l’ernia addominale è circa l’1%

«L’opportunità di intervenire chirurgicamente deve comunque sempre essere valutata in relazione al tipo di procedura chirurgica (che può variare in base alla sede e alle dimensioni dell’ernia) e alle condizioni generali del paziente. L’intervento chirurgico è risolutivo e il rischio di recidiva, nei centri specializzati e con le moderne tecniche, si aggira intorno all’1%. La tecnica chirurgica prevede in linea di massima l’utilizzo di materiali sintetici a rinforzo della parete addominale. Per l’ernia inguinale o femorale e addominali di piccole dimensioni (ombelicale o di altri siti) si predilige generalmente l’anestesia locale e la protesi viene posizionata attraverso una piccola incisione cutanea. Ernie della parete addominale di maggiori dimensioni o che insorgono su precedenti ferite chirurgiche (laparoceli) richiedono spesso incisioni più ampie e l’anestesia generale. Esiste inoltre una modalità di accesso mininvasiva (o laparoscopica) che prevede il posizionamento di protesi addominali anche di grandi dimensioni attraverso piccoli fori nella parete addominale, in anestesia generale».

Nel campo delle protesi, grazie all’evoluzione tecnologica e dei materiali, si sono ottenuti importanti risultati: «Le reti sono prodotte con materiali sempre più sofisticati che, accanto alla resistenza, offrono caratteristiche di leggerezza, elevata capacità di integrazione con i tessuti biologici, elasticità simile a quella della parete addominale. Alcune sono parzialmente riassorbibili, per cui una parte del materiale scompare dopo che è stata ottenuta la rigenerazione dei tessuti lasciando in sede solo il minimo supporto indispensabile. Un altro campo di evoluzione sono i metodi di fissaggio delle protesi: dai tradizionali fili di sutura si tende a passare all’uso di collanti (riducendo il dolore legato ai punti interni); esistono inoltre strumenti studiati per il fissaggio delle reti in addome attraverso millimetrici fori o addirittura reti dotate di proprietà autocollante o autofissante», conclude il dottor Bona.

 

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