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Ravasi: da 50 anni mi batto contro il cancro

20/04/2004

Una vita dedicata alla lotta contro i tumori. Non solo in ambulatorio e in sala operatoria, ma anche in mezzo alla gente, nelle piazze e nei teatri come formidabile testimone della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori. Gianni Ravasi dà la caccia al cancro dal lontano 1955, anno della sua laurea in medicina e chirurgia. Poi una lunga serie di concorsi, vinti, che da assistente volontario lo promuovono ad assistente, quindi aiuto chirurgo, direttore di divisione chirurgica toracica dell’Istituto dei Tumori di Milano e, dal 1980, presidente della sezione Milanese della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori. Dal 1997 è responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Toracica di Humanitas e poi Senior Consultant. La porta del suo studio in ospedale è sempre aperta e la sua voce roca e inconfondibile, è una coperta calda per i malati.

Chi sono state le persone determinanti nella sua carriera?
‘‘Tutto è incominciato con il prof. Teo Rock, un chirurgo toracico di grande ardimento che negli anni Cinquanta, quando questa specialità era agli inizi, aveva già maturato esperienza soprattutto in Sud America. In quegli anni pionieristici si cimentava nella chirurgia del cancro dell’esofago, una terapia estremamente difficile con gli strumenti del tempo. Quando l’operazione aveva esito positivo, la soddisfazione era immensa.
L’altro grande maestro è stato il prof. Pietro Bucalossi, per molti anni presidente dell’Istituto dei Tumori di Milano. Un maestro soprattutto di vita. Ho appreso da lui il mestiere del medico ed imparato a rapportarmi con i malati. In particolare, nel caso di un paziente malato di tumore la comunicazione è dolorosa e difficile. Come va riferita la verità? Bisogna dire tutto anche quando la medicina non può più nulla? Dal prof. Bucalossi ho imparato a non essere categorico nelle affermazioni e lasciar sempre vivere la speranza, portando sempre esempi di casi clinici risoltisi con successo, nonostante le previsioni fossero nere’’.

Quali sono i punti fermi della carriera di medico?
‘‘Questo mestiere mi ha dato la possibilità di far vivere in maniera dignitosa pazienti che, purtroppo, non avevano alcuna speranza e ai quali si aprivano davanti solo giorni oscuri e di sofferenza. Così all’Istituto dei Tumori, ma anche all’estero, frequentando stage di approfondimento in chirurgia toracica negli Stati Uniti, in Inghilterra e a Leningrado. Sul fronte tecnico-operativo sono stato il primo chirurgo in Italia ad utilizzare sistematicamente la via anteriore di accesso al torace per il trattamento del cancro polmonare e dell’esofago, anziché quella postero laterale di tradizione anglosassone. Inoltre nel ’62 ho introdotto per la prima volta in Italia la suturatrice meccanica. Queste esperienze mi hanno dato grandi soddisfazioni soprattutto perché ho potuto condividere queste tecniche con colleghi di fama come me impegnati nella sfida per la vita’’.

Cosa l’ha spinta a diventare un medico?
‘‘A distanza di tanti anni, ricordo ancora il volto del mio medico di famiglia e le sue visite quando ero bambino. La sua presenza cambiava il volto della casa, gettando una luce differente su cose e persone. Le sue parole erano attese in silenzio e meditate a lungo, anche quando aveva finito la sua visita e se ne era tornato a casa. In casa si citavano a memoria. ‘L’ha detto il medico’, si ripeteva a distanza di tempo e le sue opinioni avevano la forza di una potente medicina. E’ la speranza di fare del bene, di portare del bene nelle famiglie che mi ha spinto ad intraprendere questa professione’’.

E cosa le hanno insegnato cinquant’anni di medicina?
‘‘Insieme a medicine e terapie più o meno invasive, il dialogo con il malato è essenziale. Specie nel caso del tumore, il medico deve aiutare il paziente ad aprirsi quando invece la tentazione è chiudersi, a sperare, quando la voglia è di lasciarsi andare. Come medico, ma soprattutto come uomo, cerco di ricostruire nel dialogo una verità insieme al paziente. Una verità che non è meramente clinica, fredda e detta a bruciapelo come una stilettata, ma che deve costruirsi nel tempo, attraverso i dati clinici e il dialogo con il paziente e con i famigliari. Ogni ammalato è un essere umano in difficoltà e in tanti anni di professione ho scoperto un fatto sensazionale. Esistono persone inclini alla bontà e altre che, senza mezzi termini, vorrei definire ‘cattive’. Ma non nella sofferenza. Nel dolore e nella malattia esce la bontà della persona. E’ compito del medico e di con lui collabora fare anche questo: aiutare la bontà a farsi strada, anche e soprattutto attraverso la malattia’’.

Come vede i medici di oggi?
‘‘Sono spesso molto preparati, anche più della ‘vecchia generazione’ grazie a Internet, un’importante fonte di conoscenza se si utilizza correttamente. Se devo però rimproverare loro qualcosa, vorrei sottolineare la difficoltà che molti delle giovani leve hanno nel rapportarsi con il paziente. Di certo non viene in loro aiuto una Sanità che è sempre più complicata e burocratizzata dove il paziente è più visto come numero che come un essere umano’’.

Qual è la situazione oggi della ricerca in oncologia?
‘‘Nel 2000 il grande annuncio: in Dna umano è stato decifrato, svelato il segreto dei geni che contengono il codice della vita. Un passo in avanti decisivo per la medicina e per l’uomo, perché queste conoscenze potranno essere la base per sviluppare nuovi farmaci geneticamente mirati e personalizzati e, addirittura, consentire interventi preventivi. Ora si tratta di tracciare i percorsi corretti dei singoli geni, come funzionano e quali relazioni intercorrono fra loro. Il lavoro immane inizia solo oggi. Ad esempio, nel campo oncologico, si tratta di scoprire il funzionamento di un tumore maligno, che distrugge le cellule sane, rispetto a uno benigno che sposta i tessuti sani senza danneggiarli irrimediabilmente. Oppure, nel caso del tumore polmonare, la recente scoperta di un gene onco-soppressore mancante, il Fhit’’.

Quale è oggi l’arma migliore contro il tumore?
‘‘Di sicuro la prevenzione, attraverso controlli approfonditi nella popolazione maggiormente a rischio. E’ ciò che stiamo facendo in Humanitas con il Progetto DANTE, un programma di ricerca dedicato alla diagnosi precoce dei tumori del polmone. Uno screening che ha l’obiettivo di verificare se l’uso estensivo della TAC spirale (capace di individuare noduli molto piccoli che possono sfuggire alla radiologia tradizionale) e di markers molecolari siano in grado di ridurre la mortalità per tumori del polmone in pazienti asintomatici (fumatori o ex grandi fumatori) grazie ad una diagnosi precoce. E DANTE già oggi conferma che dal tumore al polmone si può guarire, purché dia preso in tempo’’.

A cura di Marco Renato Menga

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