È del tutto naturale che una diagnosi di tumore getti nello sconforto chi la riceve. Lo scoramento è però dietro l’angolo anche per gli affetti, i familiari e gli amici del paziente oncologico. Questi si interrogano su cosa possono fare per mitigare lo sconforto della persona a cui vogliono bene. Una sola ricetta non esiste, bisogna tener conto della personalità del paziente, ma in ogni caso il loro ruolo è fondamentale per aiutarlo a riappropriarsi della sua vita e costruire un nuovo equilibrio.
Il supporto di amici, familiari e colleghi di lavoro è utile a migliorare la qualità di vita di una persona malata di tumore. Aiutare gli altri è una delle azioni che ciascuno di noi può fare per ridurre l’impatto di questa patologia, come suggerisce lo slogan del World Cancer Day 2016 (la Giornata mondiale contro il Cancro), che si tiene oggi 4 febbraio: “We can. I can”, “Possiamo. Io posso”.
«Una diagnosi di tumore ha un impatto molto forte, sconvolge la vita di una persona in maniera pervasiva e intensa. Tutti gli equilibri, anche se consolidati da anni, nella sfera affettiva, lavorativa, sociale, relazionale e familiare sono all’improvviso messi in discussione. E ognuno reagisce in modo diverso, in base alle proprie risorse e a quelle della “rete relazionale” di cui dispone grazie alla presenza di parenti e amici. Se c’è qualcuno che può sostenere il paziente, allora l’impatto della diagnosi sarà meno forte», osserva il dottor Enrico Lombardi, psicologo e psicoterapeuta dell’ospedale Humanitas.
Dire “andrà tutto bene” rischia di banalizzare la situazione
Nel tentativo di ripristinare un equilibrio – «diverso dal precedente», aggiunge lo specialista – cosa può fare chi è vicino a un paziente oncologico? «Spesso capita che i familiari si concentrino nel rassicurarlo con frasi come “andrà tutto bene” o “è capitato ad altri, vedrai che tutto si risolve”. In parte può essere fatto a fin di bene per incoraggiare, ma talvolta può essere anche una sorta di difesa personale, per non entrare in contatto con un vissuto doloroso che si fatica a gestire».
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«Il rischio però è quello di trasmettere al paziente di sottostimare o banalizzare il problema. In tal senso non esiste un approccio valido per tutti: la cosa migliore – consiglia il dottor Lombardi – è di cercare il più possibile, anche se non è facile, di comprendere volta per volta i bisogni del paziente, per capire di cosa quella persona ha necessità in quel momento e di comportarsi di conseguenza. In altre parole bisogna cercare di sintonizzarsi il più possibile con i bisogni del paziente».
Lo scopo ultimo è riappropriasi della propria vita: «Una diagnosi di tumore pone una persona in uno stato di impotenza e passività, pertanto risulta cruciale cercare di riprendere un ruolo attivo nelle aree più significative della propria esistenza, dagli affetti alla progettualità, dalle relazioni amicali a quelle lavorative, dandosi necessariamente del tempo».
Molti pazienti oncologici, e anche chi li circonda, possono soffrire di ansia e depressione e manifestare rabbia, tristezza e paura
«Si è più inclini a giustificare problematiche fisiche che non ad ammettere la possibilità di provare rabbia, paura o tristezza. Anche chi circonda i pazienti spesso si stupisce, tuttavia sono fisiologiche rispetto alla situazione di malattia che ci si trova ad affrontare: se si riescono a gestire queste emozioni con le proprie risorse allora si potrà ritrovare un nuovo equilibrio funzionale al benessere dell’individuo, altrimenti potrebbe servire un sostegno psicologico e/o farmacologico», suggerisce il dottor Enrico Lombardi.
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Il National Cancer Institute americano consiglia, tra l’altro, di promuovere l’attività fisica del paziente oncologico, di coinvolgerlo in conversazioni e attività che ama e di incoraggiarlo a seguire un trattamento se i sintomi migliorano. Forzare la persona a parlare se non è pronta, compatirla o, dall’altro lato, dire di tirarsi su se sembra depressa sono azioni da non fare.