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Benessere

Mencaglia: ai malati state vicini, ma non troppo

14/09/2004

Uno studio condotto dai ricercatori dell’università del Kentuky ha evidenziato che essere troppo apprensivi nei riguardi di un familiare colpito da infarto potrebbe essere molto pericoloso, se non addirittura mortale La ricerca realizzata su un campione di 417 pazienti, ha dimostrato che il 56% dei parenti aveva ansia e angoscia ben superiori alla norma.
Abbiamo chiesto alla la dottoressa Emanuela Mencaglia, psicologa in Humanitas, di commentarlo.

Dottoressa, in poche parole sembra che i parenti dei malati risultino più depressi e angosciati dei malati stessi, con il rischio di provocare un secondo infarto entro breve periodo.
“E’ difficile pensare che un parente ansioso possa causare un secondo infarto a breve tempo ad un proprio caro. È un peso grave da sopportare”.

Poniamo l’accetto su un altro aspetto: il recupero dell’autonomia…
“I parenti possono a volte interferire, e ciò non vale solo per i pazienti cardiopatici, sulla ripresa a breve e a lungo termine; l’atteggiamento ansioso-depressivo dei familiari, può infatti avere ripercussioni sulla ripresa dell’autonomia. Se, ad esempio, devono fare ginnastica, alzarsi dal letto, riprendere cioè la vita quotidiana, possiamo trovare parenti molto ansiosi, che si sostituiscono ai pazienti in tutto, facendo spesso quello che dovrebbero fare i malati. Diventa difficile a volte per alcuni pazienti uscire di casa, perché i familiari pensano che si affatichino troppo. In questo caso l’ansia del parente può divenire un limite alla ripresa fisica e psicologica del convalescente. Senza dimenticare che per i cardiopatici/infartuati, e così come per tutti i malati, la ripresa psico-fisica è importante e, se il paziente viene anticipato dal parente ansioso, il rischio è che non abbia più stimoli a riprendere una vita attiva.”

Magari il parente interferisce anche dal punto di vista alimentare…
“Certo, succede spesso di incontrare coppie nelle quali le discussioni relative all’alimentazione diventano il fulcro degli scambi quotidiani”.

Talvolta la sostituzione e l’iperprotezione non permette al paziente di riprendere le proprie abilità (per esempio guidare la macchina) e tende a far sentire il malato più malato di quello che realmente è. Ma è giusto affermare che se un parente è ansioso è bene che stia lontano dal partner malato?
“E’ vero che un convalescente ha la necessità di ‘provare’ il suo fisico e la sua psiche. Dovrebbe quindi avere al suo fianco persone psicologicamente solide, stabili per potersi appoggiare a loro: se lui ha già paura di un secondo infarto, e per di più in più intorno a lui c’è una sorta di attesa di fronte all’evento, questo paziente sarà ancora più ansioso e più teso. Spesso i pazienti sono estremamente preoccupati quando leggono, negli occhi dei propri cari, l’ansia e la preoccupazione per la loro malattia. In questo senso, un parente ansioso e depresso può, paradossalmente, peggiorare lo stato psicofisico del proprio caro, malato o convalescente”.

Gli amici che ruolo possono avere?
“La rete sociale è estremamente importante per il recupero psicofisico dei pazienti cardiopatici; il sostegno positivo del partner e dell’entourage familiare è importante. Se trova un supporto importante, attivo, solido, il malato avrà di sicuro un beneficio che potrebbe aiutare il suo recupero”.

A cura di Raffaele Sala

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