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Parla l’inventore del cuore più piccolo al mondo

26/04/2011

Daniel Burkhoff, pioniere nel campo delle valvole cardiache, descrive le potenzialità delle nuove minuscole pompe che aiutano il cuore malato.

L’insufficienza cardiaca è causa di decine di migliaia di decessi ogni anno e della difficoltà di milioni di persone a condurre una vita normale. Si tratta di una patologia in aumento, anche per l’invecchiamento progressivo della popolazione, ma oggi nuove minuscole pompe, di peso non superiore ai 25 grammi e dalle dimensioni di una piccola pila, possono aiutare il cuore a pompare il sangue e offrire ai pazienti un’alternativa valida al trapianto. Si tratta di versioni in miniatura e all’avanguardia dei tradizionali VAD, i Ventricular assist device, Daniel Burkhoff, docente alla Columbia Univerisity e pioniere in questo campo, ha di recente collaborato con il dott. Ettore Vitali e il dott. Alessandro Barbone, specialisti di Humanitas. Humanitas è l’unico ospadale in Italia a partecipare allo studio clinico sulla più piccola protesi esistente, il Synergy Minimally Invasive Circulatory Support Device, sviluppata con il contributo di Burkhoff e ora in fase sperimentale in Europa.

Professor Burkhoff, potrebbe descrivere la protesi e il suo funzionamento?
“È una piccola pompa meccanica per il sangue, che funziona a batteria e viene impiantata in una sacca sotto la scapola. La pompa Synergy è progettata per il sostegno di lungo periodo di pazienti con insufficienze cardiache croniche, che non rispondono ad altre forme di trattamento medico ma non sono ancora tanto malati da giustificare il ricorso ai più grandi e tradizionali Vad oggi disponibili. Lavora insieme al cuore per aumentare l’output di circa tre litri di sangue al minuto, per alleviare i sintomi dell’insufficienza cardiaca cronica e consentire ai pazienti di condurre una vita più attiva”.

Qual è la principale differenza tra la nuova generazione di protesi e le precedenti?
“Le protesi tradizionali, progettate negli anni Settanta e Ottanta, erano grandi e il loro uso limitato a malati terminali la cui speranza di vita non superava i giorni o le settimane. Si ottenevano molti risultati positivi, ma era elevata anche mortalità e la qualità della vita dei pazienti non era sempre buona. Sorgevano problemi come infezioni, emorragie e infarti. Con protesi sempre migliori e più piccole e con la soluzione dei problemi, i medici possono decidere di intervenire in malati meno gravi. Negli ultimi quattro o cinque anni importanti studi clinici hanno mostrato che i pazienti possono avere una buona qualità della vita grazie alle nuove protesi, che possono essere utilizzate con eccellenti risultati invece di un trapianto. La nuova generazione di protesi con la quale stiamo lavorando in Humanitas è la più piccola pompa finora usata e viene impiantata con un intervento meno invasivo. Non ha bisogno di pompare tanto sangue quanto altre protesi oggi in uso, perché i pazienti sono meno compromessi. Un aspetto cruciale, inoltre, è che la nuova protesi viene collocata al di fuori della cavità toracica, come un pacemaker, in modo tale da essere sostituibile con relativa facilità. Le vecchie protesi invece erano all’interno del torace”.

Quanti pazienti potrebbero essere aiutati da queste protesi?
“Negli Stati Uniti ci sono tra i cinquecentomila e i seicentomila nuovi casi di insufficienza cardiaca ogni anno e sei milioni di persone già malate. Il tasso di mortalità è nell’insieme vicino al sette per cento. In Italia, la mortalità è simile. Tuttavia, un vasto segmento della popolazione che soffre di insufficienza cardiaca, circa il 20-30%, ha una capacità funzionale molto ridotta e appartiene a un sottogruppo di pazienti che ha un tasso di mortalità almeno del 30% l’anno. La maggior parte dei pazienti che sopravvive inoltre ha una qualità della vita enormemente ridotta, con difficoltà respiratorie e molti altri problemi. Quindi l’uso potenziale delle protesi riguarda decine di migliaia di persone ogni anno. Con l’avvento di protesi sempre più piccole diventa possibile usarle anche in neonati e bambini”.

Dove sono disponibili i nuovi VAD?
“In Europa la maggior parte dei Vad è utilizzata in Germania, dove la ricerca clinica scientifica è molto attiva. In Italia non tutti gli ospedali sono attrezzati per operare con queste protesi, che richiedono un grande impegno di personale e fondi. Per gli studi clinici, come quelli in Humanitas, servono elevate capacità chirurgiche, di controllo successivo e strutture specializzate. L’esperienza all’Istituto clinico Humanitas è stata molto positiva”.

Qual è stato il maggior successo finora e che cosa deve accadere perché le protesi vengano diffusamente accettate?
“Un importante successo nel campo si è verificato quando i cardiologi hanno cominciato a credere nei benefici dei Vad e hanno inizato a indirizzare pazienti ai chirurghi per la procedura. Ma è ai pazienti che spetta l’ultima decisione. Le protesi sono ancora una tecnologia in evoluzione, stanno migliorando in continuazione. Stiamo lavorando per migliorare la superficie delle protesi, per esempio. È un processo guidato dalla tecnologia e dall’ingegneria medica. Non credo che abbiamo raggiunto la vetta dello sviluppo, c’è ancora molto spazio per l’innovazione. La prossima generazione di protesi circolatorie potrebbe essere ancora meno invasiva. In futuro potrebbero essere inserite attraverso dei cateteri che passano nelle vene del collo senza richiedere incisioni chirurgiche al torace. Speriamo di non essere lontani da questo”.

A cura della Redazione

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