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Epatologia

Epatite C, a che punto sono le strategie per sradicarla?

03/08/2018

L’Organizzazione mondiale della Sanità ha posto questo obiettivo per il 2030: sradicare l’epatite C. Nel giugno scorso presso il Global Hepatitis Summit che si è tenuto in Toronto (Canada) il dottor Homie Razavi e il suo team dell’Osservatorio Polaris del Centre for Disease Analysis Foundation (CDAF), Lafayette, CO, USA, hanno presentato i nuovi dati sull’epidemia di epatite C a livello mondiale che hanno mostrato che solo 12 paesi nel mondo siano sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo che l’OMS ha posto nel 2016 a 194 paesi per eliminare l’infezione a livello planetario. L’osservatorio si avvale di oltre 1000 esperti internazionali e tiene traccia dei progressi ottenuti alla lotta all’epatite C in oltre 100 paesi. Ne parliamo con il dottor Roberto Ceriani, epatologo di Humanitas.

 

L’aggiornamento globale

Per essere sul binario giusto un Paese deve trattare ogni anno almeno il 7% degli infetti e non avere restrizioni nell’accesso. Nonostante l’accesso aperto a tutti i pazienti con virus dell’epatite C, anche i meno gravi, e nonostante l’utilizzo di farmaci che agiscono e curano in sole 8 settimane, anziché dodici, con una efficacia altissima, secondo l’ultimo congresso europeo sulle malattie del fegato, in corso a Parigi l’Italia non sarebbe sul binario giusto per eradicare la malattia.

“Dall’aggiornamento globale del 2017, ai paesi già inseriti nella lista di coloro che potrebbero eliminare l’infezione da HCV entro il 2030 Australia, Egitto, Francia, Georgia, Islanda, Giappone e Paesi Bassi, sono stati aggiunti Italia, Spagna, Svizzera, Regno Unito e Mongolia  in relazione al numero dei pazienti trattati e all’eliminazioni delle restrizioni al trattamento – ha spiegato il dottor Ceriani -. In questi paesi si trattano almeno il 7% della popolazione infetta ogni anno, mentre sono stati esclusi la Germania, che non tratta più il 7% della popolazione infetta e il Qatar, che non è stato in grado di fornire nuovi dati all’Osservatorio Polaris per la conferma dei suoi progressi. Al Giugno 2018, secondo i dati AIFA, in Italia sono stati avviati 145.009 trattamenti”.

Verso l’obiettivo posto dalla Oms

Per raggiungere l’obiettivo prefissato è necessario avere un accesso illimitato alle cure e trattare almeno il 7% della popolazione infetta, ci sono paesi ad alto reddito o con strutture mediche ad alto profilo, che applicano restrizioni ai trattamenti come gli Stati Uniti o che trattano un numero di pazienti al di sotto della soglia come il Canada.

“Globalmente nel 2017 sono stati trattati 2,1 milioni di pazienti rispetto al 1,8 milioni del 2016 – ha aggiunto lo specialista di Humanitas -. Questa crescita si è verificata nei paesi a reddito medio mentre nei paesi ad alto reddito il numero dei pazienti trattati è diminuito. La riduzione dei trattamenti dipende dal fatto che sono stati completate le terapie nei pazienti noti HCV Ab positivi, quindi diventano fondamentali gli screening nazionali per la diagnosi di nuovi pazienti”.

I Paesi ad alto reddito stanno attualmente concentrando lo screening nelle popolazioni ad alto rischio come, tra gli utilizzatori di droghe per via endovenosa, nei Centri di riabilitazione per tossicodipendenti e nelle carceri. Questa strategia, però, a lungo termine potrebbe non essere pagante, poiché si stima che tra questi soggetti vi sia solo il 20% delle infezioni non note. Uniche eccezioni sulle campagne di screening nazionale sono l’Egitto, che nel 2017 ha testato circa 4,5 milioni di soggetti ed ha ottenuto un prestito di 200 milioni di dollari dalla Banca Mondiale per controllare il resto della popolazione e la Mongolia, che nel 2016 ha testato tutta la popolazione tra i 41 e 65 anni e nel 2017 tra i 18 e 40 anni.

Attualmente il dottor Razavi e il suo team stanno lavorando con i vari paesi, per identificare cio’ che è necessario per rendere redditizio un programma di screening nella popolazione generale con un progetto dimostrativo pianificato in Africa.

 

Gli obiettivi dell’Italia

Obiettivo AIFA è quello di mantenere un alto numero di trattamenti annuali anti-HCV, per poter raggiungere l’eliminazione dell’infezione.

Il trattamento di tutti i pazienti HCV positivi , indipendentemente dal grado e stadio di malattia, produce importanti guadagno in termini di salute e di riduzione dei costi diretti ed indiretti da parte del SSN.

Purtroppo, le persone che hanno contratto l’infezione da HCV nella maggior parte dei casi non sviluppano evidenti sintomi e pertanto non vengono identificati e trattati. E’ indispensabile poter scoprire il “sommerso”, e quindi aumentare il numero di pazienti con diagnosi di HCV per poterli indirizzare alla terapia con i nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAAs). Uno screening ampio potrebbe essere effettuato nelle corti di persone nate dagli anni 50 agli anni settanta o da tutti coloro che hanno maggiori accessi sanitari a causa di patologie croniche.

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