Per le donne che hanno ricevuto una diagnosi di tumore al seno un’eventuale gravidanza è un motivo di preoccupazione. Il timore è che la neoplasia possa recidivare, in particolare se il tumore che le ha colpite era del tipo ER positivo, ovvero positivo per i recettori degli estrogeni, gli ormoni che ne hanno alimentano la crescita. Una ricerca presentata all’ultimo congresso dell’American Society of Clinical Oncology ha indicato come, nelle donne colpite da tumore mammario che fossero rimaste incinte, il rischio di recidiva e la mortalità non erano maggiori delle donne che invece non lo fossero state. Ne parliamo con la dottoressa Rosalba Torrisi, oncologa e Responsabile della Sezione di Senologia di Humanitas.
Lo studio, retrospettivo, è stato condotto su 1207 pazienti colpite da tumore al seno quando avevano meno di 50 anni. Per oltre la metà delle donne il tumore era del tipo ER positivo (quello più comune) e in più del 40% la prognosi era sfavorevole (il tumore aveva grandi dimensioni e aveva interessato i linfonodi ascellari). Delle donne coinvolte 333 sono rimaste incinte.
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Dopo un follow up di circa 10 anni dalla diagnosi di tumore non sono emerse differenze fra le donne che avevano avuto una gravidanza rispetto a chi non l’aveva avuta. E questo indipendentemente dal tipo di tumore diagnosticato. Anche per i tassi di sopravvivenza non sono state ravvisate particolari differenze tra gravide e non gravide, indipendentemente dal fatto se le donne avessero portato a termine la gravidanza o meno, dall’allattamento al seno e da quanto tempo fosse passato tra la diagnosi e la gravidanza. I tassi di sopravvivenza erano infine simili tra le donne con tumore ER positivo che fossero rimaste incinte o meno.
Ormoni e tumore al seno
«Lo studio – commenta la dottoressa Torrisi – conferma con un follow up più lungo i risultati già pubblicati nel 2013 che documentavano come una gravidanza successiva alla diagnosi di un carcinoma mammario non influenzi la prognosi a lungo termine indipendentemente dalle caratteristiche della neoplasia. È chiaro come su questo specifico quesito non potranno essere condotti degli studi prospettici randomizzati, ma le conclusioni di questo studio, per la numerosità del campione incluso e la lunga durata di osservazione, rappresentano comunque delle evidenze scientifiche sufficientemente valide a supporto dell’assenza di rischi aggiuntivi di una gravidanza in donne operate per una neoplasia mammaria».
Perché alcune donne hanno timore di una gravidanza dopo una diagnosi di tumore al seno?
«La gravidanza comporta una cosiddetta “tempesta ormonale” con elevati livelli di estrogeni per cui è abbastanza naturale che esista un timore per quanto non supportato da evidenze scientifiche come vediamo dai risultati di questo e di altri studi caso-controllo che sono stati presentati nell’ultimo decennio. In particolare, le donne che hanno avuto una diagnosi di neoplasia ER positiva e nelle quali è stata indotta una menopausa farmacologica hanno timore anche della ripresa del ciclo mestruale dopo il termine della terapia».
Una scelta personale
«La scelta di una gravidanza è molto personale all’interno di una coppia, quello che può fare il medico è dare gli elementi tecnici che possano aiutare la donna a decidere per il suo futuro. Noi non possiamo intervenire in questa decisione però spieghiamo che le evidenze scientifiche non dimostrano che questa scelta possa rappresentare un ulteriore fattore di rischio per una ripresentazione del tumore».
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«Nelle donne con neoplasia ormonoresponsiva consigliamo di portare avanti per almeno 2-3 anni la terapia ormonale adiuvante anche alla luce dei risultati di uno studio che aveva dimostrato una buona sopravvivenza anche dopo solo 3 anni di terapia ormonale (di solito ne sono consigliati almeno 5) e di considerare eventualmente una ripresa della terapia ormonale dopo la gravidanza. A tal proposito – conclude la specialista – c’è uno studio internazionale, lo studio POSITIVE, che sta raccogliendo informazioni relative alla ripresa della terapia ormonale dopo una gravidanza per valutarne l’impatto sulla prognosi».