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Tumore alla prostata, lavorare su turni non aumenta il rischio

31/08/2015

Per il tumore alla prostata lavorare su turni non è un fattore di rischio maggiore. È questa la conclusione di una ricerca tedesca pubblicata sulla rivista Deutsches Ärzteblatt International. Tra chi osserva dei turni di lavoro e chi no, l’incidenza dei tumori alla prostata è simile.

Lo studio è stato condotto su poco meno di 28mila dipendenti di un’azienda chimica tedesca tra il 1995 e il 2005. Dai risultati è emerso che i lavoratori su turni non sono a maggior rischio. In questo arco temporale sono stati colpiti dal tumore alla prostata 337 impiegati, un numero che però includeva sia lavoratori su turni sia lavoratori attivi solo durante il giorno.

Questo è il primo studio sulla correlazione tra tumore alla prostata e lavoro su turni condotto su un campione così ampio. Le sue conclusioni contraddicono i risultati di altri studi che invece avevano preso in esame campioni di persone più ristretti.

Perché lavorare su turni è stato identificato come un fattore di rischio ad esempio per il tumore al seno?

«Il lavoro su turni altera il nostro ritmo circadiano, ovvero il nostro orologio biologico, che viene desincronizzato», spiega il dottor Massimo Lazzeri, urologo dell’ospedale Humanitas. «In altri termini i turni di lavoro “costringono” l’organismo a stare sveglio e attivo quando invece naturalmente dovrebbe riposare e viceversa. Da un punto di vista biologico – aggiunge – questo potrebbe tradursi in un’alterazione della secrezione di melatonina, la sostanza prodotta dalla ghiandola pineale che regola i ritmi sonno-veglia.

Dal momento che la melatonina è implicata nella regolazione della secrezione di alcuni fattori di crescita cellulare, la desincronizzazione dei ritmi circadiani può determinare un aumento della secrezione di questi fattori con il rischio di indurre una crescita cellulare anomala».

«Ebbene, alla luce di questo meccanismo, si è dimostrata una correlazione tra lavoro a turni e tumore al seno. Ma non per il tumore alla prostata, come dice questo studio seppur tra alcuni limiti fra i quali, ad esempio, la finestra di osservazione di dieci anni, un tempo forse insufficiente per la comparsa di un tumore alla prostata», sottolinea il dottor Lazzeri.

Ogni 100 diagnosi, 20 sono di tumore alla prostata

Perché lo studio arriva a questa conclusione? «Probabilmente rispetto ad altre forme di tumore, quello alla prostata ha caratteristiche biologiche diverse. Ad esempio può sorgere in età giovanile ma rimanere silente per tutta la vita, non sempre la sua evoluzione è significativa e non sempre è un tumore aggressivo. A differenza di altri tumori, come quello al polmone, i fattori di rischio di natura ambientale sono ancora oggetto di ricerca».

Secondo il dossier “I numeri del cancro in Italia 2014”, il tumore alla prostata è il più prevalente tra gli uomini e rappresenta il 20% di tutti i tumori diagnosticati.

 

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