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Tumore alla prostata, chi è calvo rischia di più

19/05/2015

Calvizie e tumore alla prostata, che relazione c’è? Chi sta perdendo i capelli ha un maggior rischio di sviluppare un tumore alla prostata più aggressivo. La calvizie è stata correlata a questa forma di tumore maschile particolarmente significativo da un gruppo di ricercatori del National Cancer Institute. Lo studio è stato presentato all’ultimo congresso dell’American Association for Cancer Research e pubblicato sulla rivista Journal of clinical oncology. La ricerca ha preso in esame un campione di 39mila uomini con un diverso grado di calvizie. In questi il rischio d’insorgenza di un tumore prostatico nei successivi vent’anni era maggiore rispetto a chi non stava perdendo i capelli. In particolare il rischio più elevato, 39% in più, riguardava quegli uomini che all’età di 45 anni presentavano una calvizie frontale e una moderata al vertice della testa. Non significative le associazioni con altri tipi di calvizie.

Il campione deriva da un grosso studio americano denominato PLCO (prostate, lung, colorectal, ovarian cancer screening program) realizzato per valutare l’efficacia dello screening nel ridurre la mortalità per i tumori della prostata, del polmone, del colon-retto e dell’ovaio. Perché questo lavoro è importante? «Attualmente il carcinoma della prostata è il tumore più prevalente nella popolazione maschile e la seconda causa di morte per neoplasia nell’uomo. Nei Paesi occidentali i numeri riferiti a questo tipo di malattia tenderanno ad aumentare nei prossimi anni in funzione del fatto che la generazione dei “baby-boomers”, i nati alla fine degli anni ‘50 e negli anni ‘60, raggiungerà l’età di 60 anni, fascia di rischio massima. Per questo motivo è evidente la necessità di uno screening che attraverso una diagnosi precoce dei tumori aggressivi, porti ad un intervento medico e alla conseguente riduzione della mortalità», risponde il dottor Massimo Lazzeri, urologo dell’ospedale Humanitas.

«Purtroppo i risultati dei due maggiori studi, uno americano e uno europeo, sono risultati contraddittori. Il primo, PLCO, non ha dimostrato un’utilità dello screening con la determinazione del PSA (l’antigene prostatico specifico impiegato in un esame su un prelievo di sangue) nella riduzione della mortalità, mentre lo studio europeo ha evidenziato una riduzione del 25% della mortalità cancro specifica nei pazienti sottoposti a screening con PSA ogni 3 anni rispetto a coloro che invece non lo eseguivano. L’obiettivo attuale – prosegue lo specialista – è comunque di focalizzare lo screening non sulla popolazione generale ma in particolare su alcune categorie di rischio come gli afroamericani o i pazienti con familiarità per il carcinoma prostatico».

Che tipo di contributo deriva da questa ricerca? «Un contributo importante per identificare quella ulteriore popolazione di pazienti su cui intensificare maggiormente lo screening attraverso il PSA o altre forme di marcatori. È stato infatti scoperto da altri ricercatori che la calvizie precede di circa due decadi la comparsa del tumore alla prostata. Perciò la perdita di capelli intorno ai 40 anni potrebbe costituire un campanello di allarme per quei soggetti che potrebbero ricevere una maggiore attenzione medica al fine di arrivare quanto prima ad una diagnosi precoce e ad un trattamento definitivo».

Calvizie e tumore alla prostata, c’è una cuasa comune?

«Inoltre gli autori ipotizzano una causa comune che colleghi la calvizie al tumore alla prostata. Poiché i follicoli piliferi dell’uomo come le cellule della ghiandola prostatica sono sensibili agli ormoni sessuali maschili, ad esempio il testosterone, un dismetabolismo, ovvero un’alterazione del normale funzionamento ormonale, potrebbe essere la causa comune. Al momento questa ipotesi è oggetto di numerose ricerche cliniche. Infine è stato precedentemente dimostrato come la calvizie sia associata anche all’infarto e al diabete mellito. Questo introduce un nuovo spazio di riflessione che colloca la neoplasia all’interno di una malattia non più d’organo ma di organismo. In altre parole, parafrasando Ippocrate, non è tanto importante conoscere che tipo di malattia ha un determinato individuo, ma conoscere che tipo di individuo ha una determinata malattia», sottolinea il dottor Lazzeri.

Come riporta l’Airc, l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, il tasso di sopravvivenza medio per questa forma di tumore a cinque anni dalla diagnosi pari a oltre il 70%, è una percentuale tra le più elevate fra i tumori; un traguardo raggiunto grazie alla ricerca. Tra i vari ambiti di ricerca c’è quello sui marcatori per identificare il tumore alla prostata con un prelievo del sangue. Quali le ultime novità a riguardo? «Negli ultimi anni – risponde l’esperto – sono emerse numerose critiche sul ruolo che il PSA può avere nella diagnosi precoce del tumore alla prostata; i risultati contrastanti dei due studi precedentemente citati ne sono un esempio lampante. Il gruppo del Prof. Guazzoni, responsabile di Urologia e Andrologia di Humanitas, da anni è impegnato nella ricerca clinica dei nuovi marcatori sierici, fra i quali il PHI (Prostate health index, che si esegue con un semplice prelievo di sangue), che siano in grado non solo di selezionare precocemente i pazienti con un tumore prostatico, ma soprattutto di individuare quelli con le forme più aggressive che richiedano un trattamento radicale chirurgico».

«Recentemente, a conferma dell’importanza di questo marcatore, il gruppo del Prof. Guazzoni ha presentato al congresso degli urologi americani tenutosi in questi giorni a New Orleans, un’interessante ricerca i cui risultati dimostravano che il PHI, questo nuovo marcatore, non solo era più accurato del PSA per la diagnosi di tumore alla prostata, ma anche per la diagnosi precoce di recidiva di malattia nel pazienti già sottoposti ad un intervento. Questi risultati sono molto incoraggianti e pongono il gruppo del prof. Guazzoni all’avanguardia internazionale in questo specifico settore», conclude il dottor Lazzeri.

 

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