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Appendicite: il rimedio può essere mininvasivo

25/03/2002

Maggiori possibilità diagnostiche, tempi di degenza più brevi, incisioni e cicatrici ridotte al minimo. Questi, secondo il dottor Stefano Bona, dell’Unità operativa di Chirurgia generale e Mininvasiva di Humanitas, diretta dal dottor Riccardo Rosati, i vantaggi offerti dalle tecniche di chirurgia mininvasiva nei casi di appendicectomia.

La chirurgia mininvasiva
La moderna chirurgia si avvale sempre più spesso delle tecniche di laparoscopia che, grazie all’uso di piccolissime telecamere a fibre ottiche, favoriscono la visione degli organi contenuti nella cavità addominale o nel torace. La laparoscopia permette di raggiungere gli organi di interesse attraverso aperture molto piccole, di dimensioni dell’ordine di millimetri, piuttosto che dalle incisioni tipiche della chirurgia tradizionale. Nella chirurgia mininvasiva, infatti, cannule inserite attraverso piccoli fori, fungono da canale di passaggio per i ferri chirurgici e per la telecamera. Le più usate sono quelle con calibro compreso tra i 5 e i 10-12 mm, più raramente se ne usano di dimensioni maggiori o minori. Offrono inoltre il vantaggio di ridurre il dolore post-operatorio e, in generale permettono un più rapido ripristino delle funzioni fisiologiche con una riduzione generale della degenza. Esiste anche un vantaggio estetico: le cicatrici sono infatti piccolissime. Per alcuni interventi queste tecniche sono ormai considerate la scelta d’elezione: è il caso della asportazione della colecisti o di molte operazioni ginecologiche. Non sempre offrono però vantaggi rispetto alle tecniche tradizionali. Nel caso dell’appendicectomia, ad esempio, non c’è ancora un consenso generale sull’utilità della chirurgia mininvasiva. Per contro la misura ridotta della ferita quasi azzera i rischi di complicanze quali infezione e laparocele (cedimento dei punti delle fasce muscolari).

L’intervento chirurgico
L’appendicectomia tradizionale viene effettuata praticando un solo taglio. Le dimensioni dipendono da diverse variabili. Tra le altre, oltre al volume dell’appendice e alla facilità di individuarla, gioca un ruolo importante anche l’esperienza del chirurgo e la gravità dell’attacco. Anche l’operazione in laparoscopia è soggetta a diverse variabili d’esecuzione tanto che, équipe differenti, la effettuano in modi diversi per numero di incisioni, dimensione, numero e posizione delle cannule nell’addome. I modi di procedere più diffusi prevedono l’utilizzo di tre cannule di cui una di circa dodici millimetri: la più grossa, serve per il passaggio della telecamera e viene introdotta in prossimità dell’ombelico. Negli interventi in laparoscopia, infatti, l’addome viene gonfiato e l’ombelico, come la sommità di una cupola, rappresenta un punto d’osservazione ottimale. Altre due cannule da cinque millimetri di calibro vengono inserite nella zona al di sopra del pube. Solo nel caso in cui l’appendice sia poco sofferente, non ingrossata, si possono usare anche cannule più sottili: infatti bisogna sempre considerare il problema di estrarre l’organo. In questi casi anche le tecniche tradizionali consentono di effettuare incisioni di dimensioni molto piccole.

I vantaggi
Le tecniche laparoscopiche permettono al chirurgo di verificare la situazione complessiva dell’addome e di approfondire la diagnosi. Questa opportunità diventa preziosa nel caso di sintomi vaghi, quando il dolore non grave va e viene e eseguire una diagnosi di appendicite è molto difficile. In certi casi si arriva all’intervento proprio a scopo di indagine. Questo discorso riveste particolare importanza nelle donne. Infatti, in caso di dolori addominali cronici, nel 20/30 per cento dei casi viene diagnosticata una patologia diversa dall’appendicite legata a disturbi ginecologici. In questi casi il vantaggio della laparoscopia è evidente e la laparoscopia viene considerata una tecnica preferenziale. Negli uomini le cause diverse dall’appendicite sono abbastanza rare. In caso di attacco acuto grave, le possibilità di sbagliare la diagnosi sono improbabili. L’intervento è più difficile perché l’organo è più grosso e può verificarsi una peritonite. Per affrontare questa evenienza la chirurgia tradizionale deve ricorrere a grandi tagli che permettano di vedere bene l’interno dell’addome e ripulire il campo operatorio. La laparoscopia consente di gestire la situazione dalle tre piccole incisioni e, in questi casi, offre grossi vantaggi nei due sessi. L’operazione viene effettuata in anestesia generale. Una volta che il paziente è anestetizzato, la pancia viene gonfiata con anidride carbonica (CO2), per creare spazio e offrire quindi una visione migliore del campo. A tal fine si utilizza un ago infilato in addome, oppure si pratica un taglietto attraverso il quale si inserisce direttamente la prima cannula e ci si insuffla il gas. L’anestesista deve controllare i livelli dell’anidride carbonica nel sangue perché, una certa percentuale, rimanendo a contatto col peritoneo per un tempo abbastanza lungo, può essere riassorbita ed entrare in circolo. In linea di massima il gas viene smaltito automaticamente con la respirazione e comunque eliminato dopo l’intervento.

I tempi dell’intervento in laparoscopia è inferiore rispetto a quello tradizionale?
Il tempo dell’operazione in genere è uguale per entrambe le tecniche. In chirurgia mininvasiva si eliminano però i tempi dovuti alla sutura della ferita. Anche la degenza in genere non è molto più breve (circa tre giorni), poiché l’intervento all’intestino richiede sempre qualche giorno di controllo postoperatorio.

A cura di Giorgia Diana

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