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Tumore al seno, un percorso di cura completo e su misura

15/01/2008

Usufruire di un percorso diagnostico e terapeutico programmato “su misura” da un team di medici in grado di prendersi cura di ogni aspetto della salute della donna è un altro aspetto fondamentale nella lotta al tumore del seno. “La paziente che arriva in Humanitas con un nodulo sospetto – racconta il dott. Armando Santoro, responsabile in Humanitas del Dipartimento di Onco-Ematologia e della nuova Unità Funzionale di Senologia – in poco tempo ha la possibilità di effettuare un iter diagnostico completo che prevede la visita dal senologo e tutti gli esami necessari, dalla mammografia digitale, all’ecografia, dalla risonanza magnetica all’agobiopsia. Entro 72 ore siamo in grado di garantire l’esito dei test effettuati, per passare immediatamente all’individuazione delle scelte terapeutiche migliori per il caso specifico”. Nell’arco di 3 o 4 giorni al massimo dal suo primo accesso in Humanitas, la paziente ha a disposizione un programma completo di cura, “disegnato” su misura e frutto del contributo e dell’interazione di un gruppo di specialisti: i chirurghi, senologo e plastico, i radiologi e i radioterapisti e, naturalmente, gli oncologi medici. Inoltre la paziente ha anche a disposizione il supporto psicologico che, secondo il dottor Santoro, “può essere un valido aiuto ad affrontare nel modo migliore possibile un evento che, in molti casi, viene vissuto più negativamente di quanto non sia in realtà”.

Interventi mirati e ricostruzione immediata
Se i medici non ritengono necessario un ciclo chemioterapico prechirugico per ridurre il nodulo tumorale, l’intervento può essere effettuato entro pochi giorni dalla prima visita. “Si tratta – spiega il dott. Marco Alloisio, responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Toracica – di operazioni sempre più mirate e limitate, grazie alla precisione con cui i moderni mezzi diagnostici riescono a localizzare e determinare le caratteristiche del tumore e alle tecniche chirurgiche sempre meno invasive”. Oggi l’obiettivo è risparmiare al massimo il tessuto mammario sano. “Un tempo si procedeva con l’asportazione totale dei linfonodi – chiarisce il dott. Sergio Orefice, capo sezione di Senologia all’interno dell’Unità Operativa di Chirurgia Generale ad Orientamento Oncologico di Humanitas -. Ora, con la metodica del linfonodo sentinella che permette di stabilire l’effettiva diffusione del tumore, si limitano gli interventi allo stretto necessario”. Sempre più spesso, inoltre, è presente in sala operatoria anche il chirurgo ricostruttivo, che può valutare la situazione e decidere se è possibile intervenire direttamente. È quasi sempre possibile già in sede dell’intervento di asportazione effettuare una procedura di ricostruzione. In questo modo si evita la necessità di un intervento successivo. I risultati ormai sono molto va-lidi grazie alle nuove tecnologie, a protesi ed espansori sempre più sofisticati.

Il ruolo della Radioterapia
La radioterapia gioca un ruolo sempre più importante nel trattamento del carcinoma mammario. Generalmente viene effettuata dopo la chirurgia per sterilizzare la mammella, in modo da eliminare eventuali micro focolai occulti ed evitare la recidiva locale. “Le tecniche radioterapiche – spiega la dott.ssa Marta Scorsetti, responsabile dell’Unità Operativa di Radioterapia e Radiochirurgia di Humanitas – sono divenute sempre più precise: in casi selezionati oggi è possibile effettuare la ‘Partial Breast Irradiation’ irradiando in poche sedute solo la parte interessata invece del classico ciclo che prevede l’irradiazione di tutta la mammella in 25-30 sedute. Inoltre in pazienti con particolari problemi anatomici o patologie correlate (mammelle molto voluminose, pectum excavatum, broncopneumopatie) per ridurre i raggi al cuore e polmoni è possibile utilizzare la radioterapia a modulazione di intensità (IMRT) in modo da risparmiare i tessuti sani e modulare la dose al bersaglio con estrema precisione”.

Farmacologia: le nuove armi
All’interno di questo percorso di cura multidisciplinare, oggi le donne che devono combattere contro un tumore al seno possono contare su un insieme di strumenti farmacologici estremamente efficaci e diversificati. “A seconda della valutazione delle caratteristiche specifiche della paziente e della neoplasia, possiamo utilizzare i nuovi chemioterapici, le terapie ormonali e l’immunoterapia – precisa Santoro – soluzioni che possono essere impiegate anche in combinazione fra loro, se la situazione lo richiede. Ormai riusciamo a identificare per ogni paziente l’insieme ottimale di cure e questa possibilità ha ridotto considerevolmente i casi di recidiva, di ricaduta, e la formazione di metastasi in altre aree dell’organismo”. I chemioterapici più moderni sono ben tollerati dall’organismo e gli effetti collaterali si sono ridotti notevolmente in questi ultimi anni. “Si tratta di un traguardo importante che è stato raggiunto anche grazie all’elaborazione di specifiche terapie di supporto – spiega la dott.ssa Giovanna Masci, specialista di Oncologia Medica e Ematologia -. È un trattamento che preoccupa ancora molto le pazienti, ma dopo le prime sedute ci sentiamo dire sempre più spesso che la realtà è di gran lunga migliore delle aspettative. Con i farmaci odierni oltre l’80 per cento delle donne può veramente condurre una vita normale e questo ha un impatto positivo anche sul processo terapeutico». Un altro progresso importante nell’utilizzo dei chemioterapici è la possibilità di determinare con accuratezza quale sarà la risposta della paziente. “Fino a 10 anni fa la chemioterapia era una procedura uguale per tutti – chiarisce il dott. Giuseppe Gullo, oncologo di Humanitas – mentre adesso siamo in grado di valutare in quali casi non è utile e in quali invece è fondamentale e va addirittura somministrata in modo più aggressivo. Uno dei fattori che consideriamo è il rischio di recidive. Se una paziente ha il 40/50% di probabilità di sviluppare nuovamente la malattia, va chiaramente trattata in modo diverso da chi corre un pericolo minore. Nelle situazioni più problematiche si può arrivare fino a 8 cicli di terapia dopo l’intervento chirurgico, rispetto ai 4/6 che si utilizzavano in precedenza. Invece nei casi in cui non serve, si evita di somministrare farmaci e si individuano immediatamente delle alternative”.

A cura della Redazione

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