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Cancro alla prostata, con lo screening Psa mortalità ridotta del 29%

12/10/2015

Lo screening del carcinoma prostatico riduce del 29% la mortalità causata da questa neoplasia. È quanto emerge da uno studio condotto su scala europea dai ricercatori dell’Università di Rotterdam (Paesi Bassi) secondo cui l’analisi dimostra l’attendibilità del test basato sul dosaggio ematico dell’antigene prostatico specifico (Psa) in associazione con l’esplorazione rettale.

Il cancro alla prostata rappresenta il più comune tumore maligno solido nel maschio e la terza causa di morte per neoplasia. In Italia ogni anno vengono diagnosticati circa 42 mila nuovi casi e circa 7.800 decessi, a fronte di circa 100 mila pazienti sottoposti a biopsia. Nonostante venga diagnosticato a un uomo su cinque in Europa, solo il 3% dei pazienti muore a causa della malattia. La maggior parte dei tumori diagnosticati, infatti, sono caratterizzati da una crescita lenta.

Dai 70 anni il tumore alla prostata ha una crescita lenta

«In realtà non è possibile – sottolinea il dottor Massimo Lazzeri, urologo dell’ospedale Humanitas – affermare che il Psa permetta d’individuare con certezza la presenza di un tumore. Questo marcatore è, infatti, in grado di rilevare la presenza di un disturbo alla prostata, ma non identifica quale. Ciò significa che segnala la presenza di un problema, che non necessariamente si manifesta come un tumore».

(Per approfondire leggi qui: Tumore alla prostata, come fare screening e diagnosi precoce al meglio?)

«Gli uomini di età compresa tra 55 e 69 anni dovrebbero sottoporsi al test, perché a quell’età una diagnosi precoce può influenzare l’esito della malattia. A partire dai 70 anni lo screening diventa meno importante, perché il tumore prostatico ha una crescita lenta. Prima dei 55 anni – prosegue – dovrebbero sottoporsi al test le persone che appartengono alle categorie a rischio: i soggetti con familiarità e gli afroamericani».

Nelle fasi iniziali il tumore alla prostata è asintomatico

«In passato – ricorda l’urologo – si credeva che il cut off equivalesse a 4: se il valore era inferiore, significava che il soggetto stava bene. Se il valore era superiore, si presumeva la presenza di una neoplasia. In realtà, si è scoperto che non esiste un valore assoluto, ma occorre analizzare bene le caratteristiche del paziente. Per esempio il cancro è stato scoperto anche in pazienti che presentavano un Psa pari a 3. Allo stesso modo, un valore superiore a 4 può indicare un disturbo d’organo diverso dal cancro. Soltanto il controllo della situazione clinica del paziente, effettuata dall’urologo, permette d’identificare con certezza la presenza o meno del tumore».

(Per approfondire leggi qui: Tumore alla prostata, lavorare su turni non aumenta il rischio)

«Il tumore alla prostata – evidenzia Lazzeri – nelle fasi iniziali è asintomatico, per cui non manifesta campanelli d’allarme. Oltre agli uomini di età compresa tra 55 e 69 anni, dovrebbero effettuare il test con regolarità i soggetti con familiarità, che potrebbero sviluppare la malattia anche in giovane età. Ma perché i test diagnostici risultino davvero efficaci, è fondamentale l’ “attitudine”. Gli uomini dovrebbero trovare nell’urologo un riferimento clinico importante, come fanno le donne con il ginecologo. L’urologo è, infatti, in grado d’interpretare i fattori di rischio del singolo paziente, sulla base delle sue caratteristiche individuali. Non bisogna concentrare tutta l’attenzione sulla malattia, ma riportare l’individuo al centro del percorso diagnostico».

(Per approfondire leggi qui: Tumore alla prostata, chi è calvo rischia di più)

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