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Prevenzione

Forame ovale pervio: quando si deve operare?

19/04/2011

Una comunicazione tra settore destro e sinistro del cuore, che in alcuni casi può essere concausa di ictus. Ecco perhé a volte è necessario chiuderlo.

cuore forame orale pervioIl forame ovale pervio (PFO) è una comunicazione tra settore destro e sinistro del cuore che è necessaria durante la circolazione fetale e che, generalmente, si chiude spontaneamente poco dopo la nascita. Nel 30-40 per cento della popolazione però la pervietà del forame ovale rimane. Questa anomalia, di per sé, non rappresenta una patologia, ma in alcuni casi può essere una “concausa” di ictus cerebrale. Il termine concausa viene utilizzato in quanto il forame ovale non è l’unico “attore” nella genesi della patologia. Infatti, il suo ruolo principale è quello di essere la via di passaggio attraverso cui dei coaguli, che si formano normalmente nel sistema venoso e che sono generalmente filtrati dal circolo polmonare, passano direttamente nel sistema arterioso causando embolie periferiche, in particolar modo appunto l’ictus cerebrale.

Nei pazienti colpiti da ictus, soprattutto nei più giovani in cui non sono riscontrabili altre possibili cause, la pervietà del forame ovale deve essere sempre ricercata. Trattandosi di una “concausa” l’approccio alla diagnosi e alla terapia deve essere multidisciplinare, con una stretta collaborazione di diversi specialisti, in modo che ciascuno possa fornire le proprie competenze. Ecco perché il convegno “Pfo, to close or not to close?” (in programma il 19 aprile al Marriott Hotel di Milano) metterà a confronto neurologi, cardiologi e specialisti della coagulazione.

“Il Pfo – spiega il dott. Dennis Zavalloni Parenti, che si occupa da anni in Humanitas delle patologie legate al forame ovale pervio – è presente nel feto e, alla nascita, di solito si chiude. Nel 30-40 per cento della popolazione però tale processo non avviene. La pervietà del forame ovale non è di per sé un problema ma, a volte, può concorrere ad aumentare il rischio di ictus, soprattutto se è associato alla trombofilia o, ad esempio, nei soggetti che fanno immersioni subacquee.
L’esistenza del forame è conosciuta praticamente da sempre, la forte relazione con l’ictus invece è stata supportata da studi scientifici a partire dagli anni ’90. In pratica può succedere che coaguli che si formano normalmente nel sistema venoso (o le bolle d’aria che si formano durante la decompressione dopo le immersioni) attraversino il forame ovale senza essere filtrati dal circolo polmonare, trovandosi all’interno del sistema arterioso e causando embolie sistemiche, in particolare ictus cerebrali.
Per questo, quando abbiamo di fronte un paziente colpito da un ictus dobbiamo sempre pensare al Pfo, a maggior ragione se è giovane. Bisogna valutare se il Pfo ha avuto un ruolo nella genesi della patologia, se esiste una concomitante predisposizione alla formazione di trombi, se non esistano altre patologie neurologiche. In caso sussista l’indicazione, si deve intervenire per chiuderlo con protesi artificiali che sono applicate per via percutanea, evitando l’intervento chirurgico.

Il trattamento e la cura di questi pazienti, principalmente mirato alla prevenzione secondaria, per evitare che l’ictus si ripeta, devono sempre essere il risultato di un approccio multidisciplinare cui concorrono diversi specialisti. È infatti necessaria una visione d’insieme, che tenga conto di più fattori. Per questo motivo, in Humanitas l’ambulatorio dedicato alla patologia permette al paziente di essere visitato contemporaneamente da più specialisti, nell’ambito della stessa prestazione”.

A cura della Redazione

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