Doping, al capezzale dello sport malato

Non passa anno che al Giro d’Italia, o al Tour de France, le forze dell’ordine non decidano di fare irruzione, che sia il giorno di riposo, o durante la corsa. E spesso fanno piazza pulita. I corridori (o gli sportivi più in generale) si sentono maltrattati, i tifosi nauseati e lo sport perde un altro tassello della sua credibilità. La poca rimasta. I campioni, esaltati dagli organi d’informazione, vengono bollati come furbacchioni disposti a tutto per guadagnarsi il primato e subito dopo, vestono i panni delle vittime.
Humanitas Salute propone un dossier sullo stato di salute dello sport; in questo numero la parola a Claudio Colombo, prestigiosa firma del Corriere della Sera, già capo della redazione “Sport”. La prossima settimana l’analisi dei medici dello sport.

Mancano due mesi ai Giochi Olimpici, è da poco finito il campionato (travolto da un nuovo scandalo scommesse) e durante il Giro d’Italia i Nas hanno fatto irruzione per la ricerca di prodotti dopanti. Negli Stati Uniti atletica e altre discipline sono sottosopra per il Tgh. Quando si riuscirà a dire “fine” sulla vicenda doping?
“Purtroppo mai, a meno di un deciso cambio di rotta culturale. Le ultime vicende dimostrano che non servono leggi (sportive e non), vicende esemplari (caso Pantani), pene severe (peraltro quasi mai applicate): purtroppo il doping sta minando alla base lo sport mondiale, sostenuto dalla ricerca scientifica al suo servizio”.

Da parte delle forze dell’ordine, sembra ci sia una continua ricerca alla spettacolarizzazione.
“Non c’è dubbio: siamo nell’era delle apparenze, dei reality show, della forma che prevale sulla sostanza. Ma è altrettanto fuor di dubbio che, se i Nas e la magistratura si muovono, lo fanno perché qualcosa, in certi ambienti sportivi, non funziona come dovrebbe”.

Però sembra che venga calpestato il rispetto per l’uomo.
“Fatte salve le garanzie costituzionali e il rispetto per l’individuo, ritengo che chi manca realmente di rispetto, nei confronti propri e del mondo a cui appartiene, sia l’atleta che si dopa”.

Che invece è un falso campione e pretende di diventare mito agli occhi del pubblico. Dove stiamo andando?
“Dove siamo, piuttosto: a un punto morto. La lotta al doping segna il passo, e nuovi sistemi per alterare le prestazioni vengono messi a punto. Basti vedere l’ultimo scandalo, quello legato allo steroide artificiale Thg. Molti big ne hanno fatto uso con la promessa che nessun controllo lo avrebbe smascherato. Invece è successo il contrario. Questa, oggi, è la lotta al doping: un continuo inseguimento fra guardie e ladri. Ma il peggio deve ancora venire: penso al doping genetico e rabbrividisco…”.

L’Olimpiade di Atene è alle porte: come sarà?
“Quando si parla di Olimpiade, è difficile fare previsioni. E’ comunque vero che un evento del genere, forse il più globalizzato del mondo, consente di misurare la temperatura sportiva di ciascun paese. Una cosa è certa: a questi Giochi ci si avvicina con spirito nettamente diverso da quelli, per esempio, di Sydney 2000. Tensioni politiche, terrorismo e problemi ambientali peseranno nettamente su questa edizione, con fatali ripercussioni sui risultati tecnici e spettacolari”.

Si aspettano grandi record?
“No. Per due ragioni. La prima: le ultime vicende di doping che hanno coinvolto soprattutto gli americani probabilmente serviranno per tenere sotto controllo, ma soltanto pro-tempore, il fenomeno. Seconda ragione: la vicinanza sempre più evidente con i limiti attuali dell’uomo”.

Il record, oltre al suo aspetto sportivo, non è sinonimo di contaminazione?
“Da una quindicina d’anni, il record è qualcosa che si trascina dietro un’aura di sospetto, perché moltissimi primati che ancora oggi resistono, e penso soprattutto all’atletica, sono stati ottenuti utilizzando il doping. Purtroppo per molti anni la cultura sportiva si è identificata soprattutto nella capacità di raggiungere un limite, conquistare un record. Quando uno sport smette di essere una sfida tra uomini e diventa un duello con il cronometro si apre a fatali contaminazioni”.

L’uomo ha dei limiti fisiologici oltre i quali non è possibile andare?
“Certamente sì. Teniamo conto di quello che è accaduto nell’ultimo secolo (almeno nei paesi più ricchi ed evoluti): miglioramento delle qualità della vita, buona alimentazione, allenamenti sempre più sofisticati. L’atleta oggi è una macchina che sfiora la perfezione. Però non si può dire come sarà l’uomo fra due-trecento anni. La sensazione oggi è che molti primati (penso sempre all’atletica e al nuoto, presi come paradigmi dello sport) siano veramente vicinissimi al limite umano”.

Quindi non possono essere giudicati veritieri quei grafici di proiezione pubblicati tempo fa dai grandi giornali, sul record dei 100 metri: addirittura 9”12.
“Queste proiezioni fanno soltanto colore. Per quanto riguarda il primato dei 100, penso che per i prossimi due secoli rimarrà ben al di sopra dei 9”50”.

Quanto è migliorata la tecnica e quanto sono migliorati gli allenamenti nel corso degli anni?
“Pensate a Jesse Owens: correva su piste di carbonella e, al posto dei blocchi di partenza, c’erano buchette scavate dagli stessi atleti. Oggi l’ultima evoluzione delle piste prevede addirittura un aiuto (in termini di risposta elastica) al velocista. E’ cambiato tutto, dalla tecnologia (vedi biciclette al carbonio, scarpette leggere come piume, costumi per il nuoto idrorepellenti) all’alimentazione. Ed è anche cambiato lo status sociale dell’atleta: da amatore a professionista. Questo spiega l’incredibile impulso avuto dallo sport a partire dalla metà del secolo scorso”.

Quanto è malato lo sport?
“La ricerca esasperata della prestazione ha prodotto molti guasti: io credo che lo sport oggi sia malatissimo. Lo dimostrano le ultime vicende. Occorrerebbe un cambio di rotta nettissimo, ma penso ci vorrà qualche generazione prima di cominciare l’inversione”.

Le Istituzioni invocano leggi e regole uguali per tutti i Paesi e per tutte le discipline sportive. Talvolta si guarda nell’orto del vicino. E’ un atteggiamento di comodo?
“E’ vero che manca una legislazione sportiva unica e univoca in tutto il mondo (nonostante i moltissimi tentativi fatti). Ma è altrettanto vero che, spesso, ci sono state e ci sono forti resistenze nella lotta contro il doping provenienti dall’interno dei diversi sport. Gelosie, rivalità e invidie hanno frenato la marcia comune verso l’obiettivo di sconfiggere la più grande piaga dello sport moderno. Ma lo sport, senza etica, non ha ragione di esistere”.

A cura di Raffaele Sala

Redazione Humanitas Salute: