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Mononucleosi, l’identikit della malattia del bacio

14/01/2015

Malattia del bacio. Mai nome fu tanto “cattivo” per un atto così bello. Per questo meglio chiamare l’infezione con il suo nome scientifico, mononucleosi, e cercare di capire che cos’è e come si manifesta.

«Il nome “malattia del bacio” dato alla mononucleosi, infezione dovuta al virus Epstein-Barr, è fuorviante – dice il professor Carlo Selmi, immunologo e responsabile della Unità Operativa di Reumatologia in Humanitas – perché si radica nell’antica convinzione che il contagio avvenisse soltanto attraverso il contatto fisico ravvicinato del bacio, mentre oggi sappiamo che la trasmissione avviene attraverso le particelle di saliva con le stesso modalità del virus influenzale: non serve il bacio, ma basta essere vicino al soggetto infetto».

 

Mononucleosi, i rischi sono limitati

I dati epidemiologici dimostrano che il 90% della popolazione adulta è venuta in contatto nel corso della propria vita con l’Epstein-Barr virus. La maggior parte delle persone ha sviluppato gli anticorpi, senza aver alcun sintomo dell’infezione.

«Si tratta infatti – continua il professor Selmi – di una infezione che normalmente tende a risolversi da sola senza dare particolari preoccupazioni e senza sintomi rilevanti».

I segni della mononucleosi, quindi, possono essere vaghi, ma in rari casi la sintomatologia può evolvere in maniera più evidente. «I segni e i sintomi sono uno stato di debolezza del paziente, febbre, faringite, un innalzamento dei globuli bianchi – continua lo specialista –. Il trattamento in questi casi è solo sintomatico, ma il vero fastidio è la durata dell’infezione, da poche settimane a qualche mese».

Nei casi più lievi non sarà necessaria alcuna terapia, quando ci sono i disturbi citati la terapia è sintomatica: antipiretici per abbassare la febbre, antinfiammatori e solo nei casi più gravi corticostiroidei.

«Le complicanze della mononucleosi sono rare e riguardano un coinvolgimento degli organi interni, come cuore e fegato, che comporta un rischio di Epatite acuta – ricorda il professor Selmi – che rappresentano i casi in cui si ricorre a terapie sistemiche. Ultimo caso in cui l’infezione può causare complicanze è la gravidanza – conclude l’immunologo – e non a caso il test per individuare gli anticorpi all’EBV fa parte del set di esami che vengono eseguiti sulle donne in dolce attesa».

 

                                                                               Pillola a cura del prof. Carlo Selmi

                                Responsabile UO Reumatologia e Immunologia Clinica di Humanitas

e docente dell’Università degli Studi di Milano

                                                           

 

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