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Benessere

Quando il figlio non arriva…

30/09/2002

Diagnosi di infertilità: la scoperta di questa condizione rappresenta un fattore critico per la crescita della coppia che vede letteralmente sconvolte le dinamiche di convivenza a due. Come gestire questo dolore e quali percorsi intraprendere? Cosa accade nel caso la coppia scelga l’inseminazione artificiale? Sicuramente sono complessi gli aspetti emotivi che entrambi i partner devono gestire, insieme e con l’aiuto di una guida di fiducia. Ecco il parere della dott.ssa Emanuela Mencaglia psicologa di Humanitas.

I passaggi cruciali della scoperta: l’importante è fare fronte comune
“Di solito il percorso della coppia segue un po’ sempre lo stesso iter. Il primo passo è proprio quello di comunicare al proprio medico di fiducia l’esistenza di un problema nel concepimento dopo un paio d’anni di tentativi privi di risultato. Subito entrambi i partners vengono sottoposti a indagini di tipo clinico. Da questo momento le figure che si alternano nel portare aiuto diventano numerose e con caratteristiche specifiche. La coppia deve imparare a gestire a livello emotivo tutti questi specialisti, ognuno dei quali propone la lettura del problema dal suo specifico punto di vista, fornendo informazioni con tagli diversi. L’importante sarà fare ‘fronte comune’ per assimilare la diagnosi. Spesso il tempo che decorre tra la diagnosi e l’intervento clinico non tiene conto dell’impatto che una comunicazione di questo genere comporta, con il rischio che si determini un’incapacità della coppia di farsi carico della frustrazione e dei sentimenti dolorosi che questo tipo di informazione scatena nell’intimo”.

Diagnosi di infertilità: gli uomini reagiscono come le donne?
“Non è possibile generalizzare, né fare distinzione fra sessi. Sicuramente chi si sente la ‘causa’ vive molto male la diagnosi. Spesso i pazienti parlano di ‘colpa’, malgrado non sia corretto definirla così, eppure questa è la parola che viene utilizzata per esprimere la sensazione che i partner provano. Ma esistono anche casi in cui il problema del concepimento è dovuto ad entrambi, è perciò difficile trovare nel compagno il sostegno necessario per superare la crisi.”

Quali sono le attese riposte nell’intervento di inseminazione?
“Avere il bambino, ossia la riuscita. Spesso il medico non enfatizza a sufficienza, sicuramente in buona fede, che si tratta di una tecnica medica che può aiutare in una situazione critica, ma non aumenta la percentuale di fertilità di una coppia ‘normalmente’ fertile che è del 20% circa. Quindi su 100 coppie che hanno rapporti non protetti nel periodo fertile solo 20 procreeranno. La tecnica di inseminazione riproduce perfettamente il processo naturale, non è in grado di aumentare la possibilità di successo.”.

Cosa succede se il bambino atteso non arriva?
“Al momento della diagnosi la percentuale di coppie che entra in crisi è molto alta perché davanti a un lutto così grande di solito si risponde in modo depressivo, chiudendosi in sé. Non essere in grado di procreare, atto che nell’immaginario collettivo è dato per scontato, provoca una sensazione di castrazione nel vero senso della parola. Il sentimento di inutilità, se non è gestito nella coppia con un atteggiamento di apertura e condivisione del problema da parte di entrambi, rischia di portare a una seria crisi. Molte coppie mi hanno parlato di un grosso conflitto dopo la comunicazione della diagnosi. Quindi credo sia molto importante riuscire a farsi carico del problema affrontandolo insieme e non negandolo evitando di pensarci.”

Il problema può essere legato anche all’età dei partner?
“Sì, questo elemento al giorno d’oggi è molto importante. Fisiologicamente per la donna l’età avanzata è un problema, per l’uomo meno dal punto di vista fisico. Oggi l’età del concepimento del primo figlio si è spostata più avanti, si tende a procrastinare la scelta per diversi motivi. Nelle donne oltre i 35 anni il problema, quando non viene elaborato nel migliore dei modi, viene vissuto in modo persecutorio, poiché si sentono in colpa per aver aspettato troppo: hanno fatto una scelta sbagliata e ora “qualcuno” le punisce.”

Nel caso di una conclusione felice dell’inseminazione, l’arrivo del bambino risolve tutti i problemi di coppia?
“No, se non sono stati gestiti nel modo giusto e per tempo. La nascita di un figlio di norma destabilizza la coppia, perciò se i due non sono in grado di comunicare e di condividere i propri stati d’animo si trovano a vivere un rapporto ancora più complicato con l’arrivo del bimbo”.

Queste coppie non prendono in considerazione strade diverse come l’adozione?
“Una delle prime soluzioni che viene in mente in seguito alla diagnosi di infertilità è proprio l’adozione. Ma molti sono frenati dalle difficoltà: i criteri di selezione sono rigidi e particolarmente complessi. L’adozione è una scelta intrinsecamente diversa, con un percorso emotivo e psicologico differente rispetto alla scelta di ‘avere un bambino proprio’ e non è assolutamente un surrogato o una alternativa alla procreazione assistita. Allo stesso modo la fecondazione eterologa è un processo ancora differente, non paragonabile all’adozione. Tecnicamente il genitore ‘sostituito’ con il gamete del donatore riconosce quel 50% non suo, in questo caso l’importante è che entrambi i partner comprendano che il bambino è della coppia, che deve essere desiderato e amato già nei 9 mesi di gravidanza da condividere e vivere insieme ed ancora prima nella scelta di una inseminazione assistita.”

Fino a che punto è giusto insistere? Quando occorre elaborare il lutto e provare ad avere una vita felice comunque?
“E’ necessario modificare l’obiettivo della coppia e credere in un progetto di vita a due. Pur mantenendo una vita sessuale attiva sicuramente è importante cercare di interiorizzare il concetto di limite umano: nessuno è onnipotente. I figli li fanno tutti, ma forse non è così vero. I dati lo dimostrano, solo il 10-15% arrivano al successo. E’ evidente che sia la forte motivazione a spingere una donna a sottoporsi a iniezioni di ormoni e a monitoraggi ecografici frequentissimi, percorrendo spesso molti chilometri e investendo moltissime energie fisiche ed emotive. Questa stessa motivazione davanti a un fallimento la mette in ginocchio. Quando smettere? In alcune occasioni, quando la donna vuole insistere dopo diversi fallimenti, sono gli stessi partner a chiedere aiuto allo specialista. Credo che comunque debba essere una decisione condivisa con il medico, che deve diventare un punto di riferimento e d’aiuto. La fecondazione assistita è un momento non solo della coppia, in questo caso procreare diventa un lavoro di un gruppo di persone che collaborano ad un obiettivo comune: i genitori vengono informati che la coppia si reca in ospedale, si percepisce l’ansia della donna dopo l’inseminazione perché deve eseguire le analisi dei valori ormonali per sapere se l’inseminazione ha dato i suoi ‘frutti’ etc..
Si tratta di una situazione in cui il medico deve assumere un ruolo di guida e di confidente. Perciò dovrebbe essere lui il primo in grado di capire quando è il momento di smettere.”

A cura di Walter Bruno

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