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Fascite plantare, dal ghiaccio alle onde d'urto

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La fascite plantare si manifesta con un dolore di tipo puntorio localizzato nell’area di inserzione del legamento che attraversa l’arcata plantare del piede e si inserisce nell’osso del calcagno. La diagnosi si fa generalmente con una lastra, per rilevare l’eventuale presenza dello sperone calcaneare che è una delle manifestazioni della patologia, e con l’ecografia per valutare il trauma e il livello di infiammazione. Ma quali sono le opzioni terapeutiche per trattare la fascite plantare? A spiegarle è Maria Cristina d’Agostino, responsabile del Centro Onde D’Urto dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (Milano): «Prima di tutto è bene fare una distinzione tra il disturbo in fase acuta e il disturbo cronico. Diversi saranno infatti i trattamenti da prescrivere a seconda dei due casi».

In fase acuta «è fondamentale non caricare sul piede dolorante, applicare ghiaccio e assumere antinfiammatori e antidolorifici al bisogno. Può aiutare la sottoposizione del paziente a terapie come la tecarterapia», spiega la studiosa. Nei casi di fascite plantare cronica – che possono manifestarsi se si è sottovalutato o trascurato il disturbo o nel caso in cui si sia provato, senza successo, a curare la condizione – nella maggior parte dei casi «si parla di “approccio conservativo semplice”. Si basa su esercizi di stretching della fascia plantare, sull’automassaggio, su esercizi propriocettivi che migliorano l’appoggio del piede e della caviglia e, per quanto riguarda il ricorso alle terapie, in prima istanza si fa solitamente ricorso a terapie fisiche a base di laser e ultrasuoni. In seconda istanza si passa poi alle onde d’urto».

 

Le onde d’urto sono una terapia medica

A differenza dei laser e degli ultrasuoni, che sono terapie fisiche, le onde d’urto rappresentano invece una terapia medica, precisa D’Agostino, «e sono considerate il “gold standard” a cui solitamente si fa ricorso quando le altre terapie non hanno avuto effetto, ma che dovrebbero essere impiegate in prima istanza quando il paziente arriva sofferente già dopo diversi mesi o anni di dolore irrisolto».

Nei casi in cui tutti gli approcci tentati non riescono a far regredire il disturbo, «l’opzione chirurgica mininvasiva – il release della fascia plantare – è solitamente la scelta di elezione. Le infiltrazioni di cortisone sono invece sempre meno usate se non in casi refrattari e selezionati, poiché il cortisone elimina l’indispensabile grasso del tallone e può avere effetti tossici sulle cellule che determinano, a lungo andare, fibrosi e atrofie dei tessuti. Anche se necessitano di ulteriori studi, possono sortire benefici le inoculazioni di fattori di crescita e di cellule staminali dal grasso».

Infine un aiuto contro la fascite plantare può arrivare anche da alcuni integratori nutraceutici in commercio: «Il loro scopo – conclude la studiosa – è quello di migliorare la vascolarizzazione e portare migliore nutrimento ai tessuti, portando quindi anche beneficio nella prevenzione e nella risoluzione di infiammazioni come la fascite plantare».

 

Commenti a cura della dottoressa Maria Cristina D’Agostino

responsabile Centro Onde d’Urto in Humanitas 

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