La tallonite, a cui in ambito medico ci si riferisce con il termine di entesopatia o fascite plantare, è un tipo di infiammazione molto comune, localizzata sulla porzione inferiore del calcagno, alla cui insorgenza possono contribuire fattori di diverso ordine e grado, fra cui alcune abitudini, attività sportive o anche uso di calzature improprie.
Abbiamo chiesto alla dottoressa Maria Cristina d’Agostino, specialista ortopedico e responsabile del Centro Terapia Onde d’Urto dell’Istituto Clinico Humanitas, di illustrarci le principali cause di tallonite, e quali siano oggi le terapie più efficaci per trattare con successo questa patologia.
Le cause della tallonite
La fascite plantare si manifesta con un dolore di tipo puntorio, particolarmente intenso al mattino non appena si poggia il piede per alzarsi dal letto, nel punto in cui la fascia plantare si inserisce sull’osso, dal lato della superficie di appoggio.
Diversi fattori possono contribuire all’insorgenza della tallonite, fra cui anche una certa predisposizione individuale, correlata alla conformazione del piede, come il “piede piatto” (ovvero pronato) e il piede cavo (caratterizzato dall’accentuazione dell’arcata plantare). È più frequente in soggetti di media età, in coloro che soffrono di obesità o altri disturbi endocrino – metabolici, nelle donne in gravidanza, così come in pazienti affetti da iperuricemia o patologie di carattere immuno – reumatologico. In particolare, il sovrappeso corporeo può giocare un ruolo determinante nell’insorgenza della sintomatologia, specie se l’aumento è repentino. Esistono anche abitudini che possono aumentare la probabilità di sviluppare la tallonite, e che è importante indagare nell’anamnesi del paziente, per un corretto approccio diagnostico – terapeutico. Qualsiasi terapia, infatti, se non riusciamo a eliminare o almeno attenuare i fattori di rischio e la/e causa/e scatenanti, risulterà meno efficace.
Un dato molto importante da considerare in prima istanza è il tipo di calzatura utilizzato dal paziente: spesso si indossano scarpe non adeguate, o perché praticamente prive di tacco (come alcuni tipi di “ballerine”), oppure perché presentano una suola non adeguata (come per esempio le “infradito” o altre ciabatte); in alcuni casi l’inadeguatezza della calzatura è semplicemente legata all’utilizzo troppo prolungato nel tempo della stessa.
Inoltre, anche a seguito dell’utilizzo di calzature sportive non idonee, o per un gesto atletico non corretto o anche per sovraccarico funzionale, alcuni tipi di attività sportiva (corsa, calcio, tennis, basket, scherma, danza, beach volley, etc.), che causano trazioni anomale a livello della fascia plantare o anche microtraumatismi continui (per esempio nei salti e relativo “atterraggio”), possono essere frequentemente responsabili dell’insorgenza di fascite plantare.
Curiosamente, la tallonite si manifesta spesso con un tipico andamento “stagionale”, con picco di incidenza nei mesi estivi, stagione in cui più frequentemente si utilizzano calzature con suola meno rinforzata. Inoltre, specie se preesistono fattori di rischio, il camminare a lungo nella sabbia asciutta, in cui il piede letteralmente “sprofonda”, può essere causa scatenante di una fascite plantare latente. Sarebbe preferibile in tal senso la camminata sul bagnasciuga, che sottopone il piede a un minore impegno biomeccanico. Analoghe considerazioni vanno sottolineate per il “beach volley, soprattutto in soggetti non allenati a tale tipo di attività.
Cosa fare in caso di tallonite?
«L’approccio terapeutico è in prima istanza di tipo conservativo, riservando all’intervento chirurgico solo i casi in cui il paziente non abbia risposto in alcun modo a tutte le altre terapie. Le ben note talloniere di silicone con parte centrale di scarico sono sicuramente da considerarsi un “primo soccorso” da mettere in atto in attesa di consultare il medico.
Allo stato attuale delle conoscenze – continua la dottoressa – la cura elettiva per questo tipo di infiammazione è sicuramente la terapia onde d’urto, la cui validità in ambito clinico è supportata da moltissimi lavori scientifici, che ne dimostrano l’efficacia.
Si tratta di una terapia sicura, non invasiva, ambulatoriale, ripetibile e pressoché priva di effetti collaterali. Inoltre, se praticata con apparecchiature idonee e da mani esperte, è ben tollerata dal paziente, che non deve temere di provare dolore durante la seduta di trattamento.
La terapia consiste in stimolazioni di carattere micro–meccanico, che, con un delicato massaggio dei tessuti, stimolano le cellule a produrre una serie di fattori di crescita e altri mediatori biochimici che servono a contrastare l’infiammazione e a stimolare la guarigione dei tessuti.
Terapia a onde d’urto: è pericolosa?
È doveroso precisare che le onde d’urto non provocano in alcun modo lesioni dei tessuti, né frantumazione di calcificazioni e speroni ossei, bensì hanno una vera e propria azione di modulazione dell’infiammazione. Ne deriva che, per tutte le talloniti che sono associate alla presenza di un eventuale sperone osseo (in termine medico un “osteofita”), l’obiettivo non è quello di rompere o eliminare lo stesso, bensì di risolvere l’infiammazione in quella sede, responsabile a sua volta del dolore. Il ciclo di trattamento – precisa la dottoressa d’Agostino – consta di 3 sedute di terapia, con frequenza mediamente settimanale. Importante ricordare al paziente che l’efficacia delle onde d’urto in genere non è immediata, per cui occorre attendere qualche settimana (talora anche 2 mesi e più) per valutarne gli effetti benefici e che, fra una seduta e l’altra di terapia, si potrebbe anche avere una momentanea riacutizzazione del dolore. Se nella maggior parte dei casi la fascite plantare può essere risolta con la terapia onde d’urto, vi sono tuttavia alcuni casi refrattari alla guarigione (sono in genere casi cronici, di pazienti già sottoposti a diversi tipi di terapie).
Se le onde d’urto non sono sufficienti
In tal caso si può prendere in considerazione l’indicazione alla terapia infiltrativa locale con fattori di crescita autologhi (estratti cioè dal sangue stesso del paziente), come per esempio il concentrato piastrinico noto come PRP, in grado anche in tal caso di spegnere l’infiammazione e stimolare la guarigione del tessuto, sebbene non con un metodo biofisico (come le onde d’urto), bensì con una strategia di tipo biochimico.
Importante anche ricordare come il trattamento onde d’urto, non solo è ripetibile in caso di beneficio parziale, ma soprattutto non preclude la possibilità di applicare altre strategie di Medicina Rigenerativa come la terapia infiltrativa sopra menzionata.
Per concludere – aggiunge la dottoressa d’Agostino – non tutti i dolori al tallone sono da attribuire alla “fascite plantare”, anche se sicuramente è una delle patologie più frequenti; per questo motivo, è necessario in prima istanza formulare una corretta diagnosi, che, dopo l’esame clinico, prevede l’esame radiografico standard, a cui si potrà eventualmente associare un approfondimento con ecografia, o anche esame RMN in presenza di sospetto diagnostico specifico.
Il successo della terapia, anche in patologie spesso banalizzate come la fascite plantare, dipende in prima istanza dal corretto inquadramento diagnostico».