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Tecnologia

Stent medicati, rivoluzione in emodinamica

11/03/2003

Riducono notevolmente la probabilità di una riocclusione del vaso e, quindi, di un nuovo intervento. Gli stent medicati, pur avendo un costo nettamente superiore a quelli tradizionali, non solo sono molto più efficaci, poiché diminuiscono il numero di rivascolarizzazioni necessarie, ma permettono al Servizio Sanitario Nazionale di ottenere un risparmio di oltre 57 milioni di euro all’anno. Risparmio che potrebbe essere utilizzato per incentivare le singole aziende ospedaliere all’acquisto di questa nuova tecnologia, con netti miglioramenti per la salute e la qualità della vita dei pazienti affetti da patologie alle coronarie. Sono questi i risultati di una ricerca effettuata dal CeRGAS, il Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria dell’Università Bocconi, in collaborazione con Cordis – Johnson e Johnson e tre laboratori di emodinamica italiani, il Centro Cardiologico Monzino, gli Ospedali Riuniti di Bergamo e l’Ospedale Careggi di Firenze.

Angioplastica e stent
“Le coronarie – spiega la dottoressa Patrizia Presbitero, cardiologa e responsabile dell’Unità Operativa di Emodinamica di Humanitas – sono i vasi arteriosi che portano il sangue al cuore. Il loro restringimento provoca dolori al petto. La loro occlusione porta all’infarto. Negli interventi di angioplastica, che prevedono la riapertura di un vaso coronarico ostruito attraverso una sonda “a palloncino” introdotta nell’arteria femorale fino a raggiungere le coronarie ostruite, si utilizzano sempre più spesso gli stent, tubicini rigidi di maglie metalliche, di pochi millimetri, che vengono posizionati all’interno del vaso e fungono da sostegno per la coronaria che tende a richiudersi. Il by-pass, che consiste nello scavalcare il tratto di coronaria ostruito con arterie e vene prese da altre parti del corpo, è un intervento chirurgico importante che richiede, oltre all’anestesia, l’apertura dello sterno e della gabbia toracica per arrivare al cuore e la circolazione extracorporea per lavorare con il cuore “fermo”. L’angioplastica, invece, non richiede né anestesia né chirurgia e il paziente può essere dimesso dopo 24 ore. Il grosso limite di questa tecnica, molto amata dai pazienti perché poco “cruenta”, è stata finora la possibilità del riformarsi della ostruzione”.

I nuovi stent
Gli stent a rilascio graduale di farmaci sono stati messi a punto per ovviare all’inconveniente che presentano gli stent tradizionali, la cosiddetta proliferazione neointimale, cioè la crescita di tessuto infiammatorio all’interno dello stent. Infatti, in circa il 20% dei casi la presenza di questo tubo metallico all’interno del vaso cardiaco provoca una reazione infiammatoria che porta alla riocclusione del vaso stesso e alla necessità di intervenire nuovamente. I nuovi stent sono strutturalmente identici a quelli convenzionali, ma le maglie metalliche di cui sono composti vengono imbevute di un farmaco, la rapamicina (un antibiotico naturale trovato nell’isola di Pasqua), che rallenta la formazione di una proliferazione neointimale. Due studi clinici americani – il Ravel e il Sirius – hanno evidenziato come l’utilizzo di stent a rilascio di rapamicina riesca nel 90% dei casi a evitare questo processo infiammatorio che pregiudica la buona riuscita dell’intervento di angioplastica. Il rilascio del farmaco avviene, gradualmente, nei 28 giorni successivi all’intervento, ma il risultato viene mantenuto nel tempo.

L’analisi del CeRGAS
Lo studio del CeRGAS nasce dall’esigenza di effettuare una valutazione economica del tipo analisi costo-efficacia, comparando lo stent medicato con quello tradizionale. Questo perché il nuovo stent ha un costo molto più elevato (2.300 euro) rispetto al prezzo medio degli stent non medicati, che è di circa 900 euro:da qui la necessità di determinarne il rapporto costo-efficacia. Il Sistema Sanitario Nazionale opera in un ambiente di scarsità di risorse: il conseguente processo di allocazione delle risorse stesse dovrebbe seguire il principio della razionalità economica, che implica una valutazione dell’efficacia dei programmi e un’analisi dei costi al fine di determinare il rapporto costo-efficacia, in modo da poter definire le priorità.
Per effettuare questa analisi è stato utilizzato un modello decisionale – basato sui più recenti studi clinici – in cui sono stati inseriti i dati di costo di entrambi gli stent (costi diretti sanitari relativi all’intero percorso diagnostico-terapeutico che considera, dunque, la probabilità di ricadute e il conseguente ricovero e rivascolarizzazione) e i dati di efficacia (in termini di numero di rivascolarizzazioni evitate e anni di vita guadagnati, senza complicazioni cardiache maggiori).

I risultati
I risultati di questa analisi hanno evidenziato che lo stent a rilascio di rapamicina, a fronte di una maggiore efficacia, consente al SSN un risparmio annuo (costi evitati) di quasi 2.000 euro a paziente. Lo stent medicato, quindi, può essere definito “cost saving”, poiché offre un sensibile miglioramento della salute della collettività, a fronte di un impegno minore di risorse rispetto all’utilizzo di stent non medicati.
Si è voluto poi determinare, dal punto di vista finanziario, l’impatto sul budget del SSN dell’introduzione di questi nuovi stent, nell’ipotesi di sostituzione completa degli stent tradizionali con quelli a rilascio di rapamicina. Il risultato è un risparmio di 57 milioni di euro all’anno, a fronte di 6.073 rivascolarizzazioni evitate.
E’ stata inoltre condotta un’analisi di simulazioneper determinare il punto di break-even (equilibrio) dell’attuale tariffa di rimborso della procedura di angioplastica (DRG 112), ora fissata a 5.829 euro. Questo perché le singole aziende ospedaliere, rimborsate con un sistema tariffario prospettico, il DRG, che copre il costo dell’intervento nella sua globalità, potrebbero avere delle remore ad acquistare il nuovo stent, più efficace ma molto più costoso, se il SSN non adeguasse il valore del rimborso. Il valore del rimborso andrebbe dunque aumentato proprio per incentivare le aziende ospedaliere ad acquistare gli stent medicati.
Il punto di equilibrio viene nell’analisi di simulazione posizionato a un valore pari a 7.280 euro (con un incremento pari a 1.379 rispetto al valore attuale), nell’ipotesi che il SSN utilizzi i 57 milioni di euro risparmiati per aumentare il valore del rimborso. Questa ipotesi permetterebbe da un lato alle aziende di acquistare il nuovo stent e lascerebbe dall’altro il SSN in una situazione di equilibrio finanziario.

Le conclusioni
“Mi preme sottolineare – interviene la dottoressa Rosanna Tarricone, ricercatrice del CeRGAS – quanto questa nuova tecnologia sia peculiare. L’introduzione di nuove tecnologie, infatti, apporta raramente vantaggi clinici senza gravare il sistema sanitario di costi aggiuntivi, spesso rilevanti, imputabili sia al costo di acquisto della tecnologia stessa, sia ai costi di riorganizzazione del lavoro e di apprendimento. In questo caso assistiamo a una situazione opposta: gli stent medicati risultano cost-saving. Questi risparmi di costo potrebbero essere utilizzati per incentivare le aziende sanitarie a una immediata introduzione di questi nuovi stent, grazie a un aumento del rimborso, aumento che non inciderebbe sulla spesa sanitaria globale, poiché il budget verrebbe potenzialmente lasciato in pareggio. E’ tuttavia evidente che le scelte di politica sanitaria sono estremamente complesse e devono spesso considerare aspetti di natura diversa da quella strettamente economica. Ritengo però che gli elementi apportati dalla nostra analisi possano essere di grande supporto e guida alle decisioni di politica sanitaria e quindi utili alle amministrazioni sanitarie pubbliche italiane”.

A cura di Elena Villa.

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