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Aritmie e defibrillatori: come ridurre lo stress del cuore

27/05/2013

Uno studio coordinato dal dott. Maurizio Gasparini di Humanitas e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Jama, definisce una nuova strategia di programmazione dei defibrillatori cardiaci impiantabili.

 

Allungare il tempo di riconoscimento delle aritmie programmato nei defibrillatori cardiaci impiantabili riduce il numero di scariche non necessarie che questi dispositivi mandano al cuore, senza aumentare il rischio di svenimento o morte per i pazienti. Questo è quanto emerge da uno studio – pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica JAMA (Journal of American Medical Association) – coordinato dal dott. Maurizio Gasparini, responsabile dell’Unità Operativa di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione di Humanitas.

 

Uno standard per la cura dello scompenso cardiaco

La terapia con il defibrillatore impiantabile è ormai uno standard per la cura dello scompenso cardiaco. I dati (aggiornati al 2012) ci parlano di 142.694 defibrillatori cardiaci impiantati in Europa (86.920 defibrillatori cardiaci impiantabili e 55.774 defibrillatori per la terapia di risincronizzazione cardiaca), di cui 22.099 in Italia (12.055 ICD, 10.044 CRTD).

Le stimolazioni a bassa energia inviate al cuore da questi dispositivi consentono da un lato di eliminare il ritardo fra ventricolo destro e sinistro (determinando la funzione di resincronizzazione cardiaca) migliorando l’efficienza del cuore, e dall’altro consentono – con la stimolazione antitachicardica e l’erogazione di shock elettrici – di interrompere aritmie mortali. Poiché le indicazioni della resincronizzazione cardiaca sono diventate via via più ampie, sono aumentate anche le preoccupazioni in merito ai possibili effetti avversi delle terapie con i defibrillatori impiantabili su prognosi e qualità della vita, legati in particolare all’erogazione di shock inappropiati. Diversi studi si sono dunque di recente concentrati sull’identificazione delle migliori strategie di programmazione, sia nella ricerca di algoritmi di stimolazione per interrompere la tachicardia ventricolare, sia sull’uso di intervalli più prolungati per la rilevazione delle artimie, consentendo quindi di ridurre sensibilmente l’erogazione di shock non necessari.

 

Ridurre le terapie non necessarie

«Ogni volta che il cuore batte – precisa il dott. Gasparini – l’attività elettrica viene registrata dal dispositivo. Un intervallo è il tempo che intercorre tra due battiti cardiaci: un intervallo di rilevamento lungo è quindi un periodo di tempo maggiore per consentire il riconoscimento delle aritmie, ossia i battiti cardiaci irregolari.

L’obiettivo della nostra ricerca era valutare una strategia di programmazione diversa da quella standard, per ridurre le terapie non necessarie che possono essere causa di inutile stress al cuore, e dunque fonte di maggiore rischio cardiovascolare. Si tratta di un trial multicentrico randomizzato effettuato su circa 1.900 persone (età media 65 anni, 84% uomini), divise a caso in due gruppi: programmazione standard o con un intervallo di rilevamento lungo. I dati hanno dimostrato che la strategia basata su un periodo di rilevamento più lungo è associata a una riduzione complessiva delle terapie (37%) e a una diminuzione degli shock cardiaci inappropriati (45%) per i pazienti, così come a un minor numero di ricoveri nei 12 mesi successivi all’impianto del defibrillatore. Nessuna differenza significativa, invece, relativamente a episodi di svenimento (sincope) o morte».

 

Uno studio che ha modificato le linee guida europee

I risultati della ricerca suggeriscono quindi che questo approccio di programmazione dei defibrillatori impiantabili dovrebbe diventare il nuovo standard di riferimento per le future linee guida americane ed europee. In questi anni gli studi del dottor Gasparini e della sua équipe sono stati pionieristici per il trattamento dei pazienti affetti da scompenso cardiaco e fibrillazione atriale. Le ricerche, pubblicate su importanti riviste scientifiche (Journal of American College of Cardiology ed European Heart Journal), hanno determinato la modifica delle linee guida dapprima europee e successivamente americane, estendendo anche a questo tipo di pazienti l’utilizzo di elettrostimolatori biventricolari.

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