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Anoressia, un inno contro il silenzio

21/01/2014

Una storia vera. La storia di una ragazza che esce dal tunnel dell’anoressia grazie al supporto psicologico di un’amica. È un messaggio positivo quello lanciato da Margherita De Bac attraverso le pagine del suo primo libro “Per fortuna c’erano i pinoli”. Un romanzo (in libreria dal 17 gennaio) commovente che racconta una storia d’amore e d’amicizia, quella fra la protagonista ventiquattrenne Domitilla e Lucia, brillante avvocato quarantenne. La scrittrice romana Margherita De Bac è giornalista del “Corriere della Sera” e, grazie al bagaglio d’esperienze costruito negli anni scrivendo di tematiche legate a sanità, medicina e bioetica sul quotidiano e i settimanali “Sette” e “Io Donna”, è riuscita a mettere nero su bianco un racconto non medico, ma altrettanto utile a chi soffre di malattie come l’anoressia. 

Da dov’è nata l’idea di questo titolo?

“Per la protagonista del libro, la giovane Domitilla, raccogliere i pinoli nel parco costituisce, in una certa fase della sua vita, una salvezza. Non posso dire perché i pinoli diventano così importanti altrimenti rischio che svanisca la curiosità di scoprirlo da soli, leggendo le pagine del libro. Non nascondo che i pinoli piacciono molto anche a me. Sono un frutto esclusivo, difficile da conquistare, chiusi nel loro guscio e protetti dalla pigna. Ho pensato, e spero, che avrebbero portato fortuna anche a me”.

Il libro è tratto da una storia vera. Una sfida importante raccontarla, trattandosi di un tema delicato…

“Si tratta di una storia vera che rispecchia le esperienze di tante famiglie. Sono reali i protagonisti, anche se romanzati. Al centro c’è l’anoressia che viene trattata in modo morbido, non medicalizzato attraverso gli intrecci di personaggi e di circostanze che appartengono alla quotidianità di ognuno. Per me scrivere un romanzo è stata proprio una sfida. Ho voluto provare a tirarmi fuori dal cliché di giornalista che si occupa di sanità e salute e solo di quello. Dal ’90 per il Corriere della Sera mi occupo di questi temi e vengo considerata ‘la specialista’. Volevo vedere se ero capace di fare altro e, soprattutto, se ero capace di scrivere oltre la notizia del giorno”.

Nel romanzo si parla di sentimenti, amicizia e amore. È possibile nutrirsi di questo cibo per superare l’anoressia?

“Non bastano i sentimenti, ma sono importanti come in tutti i momenti della vita. Io credo molto ai sentimenti e alla capacità guaritrice e non mi sono mai lasciata convincere dal pessimismo di chi sostiene ad esempio che l’amicizia non esiste e che l’amore prima o poi evapora. Sono una sognatrice, non diffido del prossimo (purtroppo…) e sono convinta che emozioni e sentimenti siano necessari per sopravvivere. Domitilla non solo sopravvive. Oggi si sveglia la mattina e può dire di sentirsi felice. Per ottenere questa conquista è stata fondamentale una psicoterapeuta che ha saputo farle comprendere i meccanismi della sua rinuncia al cibo e limitarne i danni. Domitilla lotterà sempre per difendere questa conquista e magari avrà altre fasi down. Però adesso è consapevole che può correre ai ripari”.

Qual è il messaggio che vuole lanciare attraverso le pagine del libro?

“I disturbi del comportamento alimentare sono molto diffusi tra i giovani. Ne ho conosciuti tanti per lavoro e perché non è raro imbattersi in questi ragazzi speciali. Ho sempre pensato che i genitori siano ingiustamente colpevolizzati e che la responsabilità non vada attribuita a loro. Se sbagliano lo fanno in modo involontario convinti di educare e dare amore nel modo migliore. So che mi attirerò le critiche degli psichiatri che certo dal libro non escono benissimo. Ripeto. Non ho la presunzione di stabilire cosa bisogna e non bisogna fare nell’accostarsi a questi giovani però in tanti propongono terapie inutili e dispendiose per le famiglie. Un altro messaggio. Il secondo messaggio. L’anoressia si può superare. Basta accettare l’idea che sarà una compagna stabile nella nostra vita. L’obiettivo è fare in modo che non metta più paura. Un’invitata a tavola alla quale non rivolgiamo la parola”.

 

A cura di Simona Camarda

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