Una nuova area del cervello è implicata nei meccanismi alla base dell’insorgenza del morbo di Alzheimer. Il risultato dell’ultima ricerca, pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease, potrebbe rivoluzionare il modo di trattare il morbo di Alzheimer e rappresentare anche un passo significativo nelle modalità di diagnosi di questa malattia neurologica. Ne parliamo con la professoressa Michela Matteoli, responsabile del Neurocenter di Humanitas e direttore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR.
Lo studio e i suoi risultati pubblicati sul Journal of Alzheimer’s Disease
Per la prima volta in uno studio su pazienti, è stato scoperto dagli scienziati italiani il ruolo chiave di una piccola regione cerebrale, l’area tegumentale ventrale, nella malattia di Alzheimer. Se questa area (deputata al rilascio di una importante molecola ‘messaggera’ del cervello, la dopamina) funziona poco, ne risente il ‘centro’ della memoria, l’ippocampo, e di conseguenza anche la capacità di apprendere e ricordare. Resa nota sul Journal of Alzheimer’s Disease, la scoperta potrebbe rivoluzionare sia la diagnosi precoce, sia le terapie per questa forma di demenza, spostando l’attenzione su farmaci che stimolano il rilascio di dopamina. Autrice dello studio è Annalena Venneri, dello Sheffield Institute for Translational Neuroscience (SITraN) in Gran Bretagna, spiega: “La nostra scoperta indica che se l’area tegmentale-ventrale (VTA) non produce la corretta quantità di dopamina per l’ippocampo, questo non funziona più in modo efficiente e la formazione dei ricordi risulta compromessa”. Si tratta del primo studio al mondo che dimostra questo collegamento negli esseri umani.
Il commento di Humanitas
“Lo studio appena pubblicato su Journal of Alzheimer’s Disease conferma sull’uomo quanto già dimostrato un anno fa su modelli preclinici da un gruppo di ricercatori del Campus Biomedico e dell’Irccs Santa Lucia e pubblicato su Nature Communication – ha detto la Prof.ssa Matteoli -. I ricercatori, guidati dal Prof. D’Amelio, avevano scoperto, nel topo, una relazione tra la morte dei neuroni dell’area tegmentale ventrale, area in cui si produce la dopamina, e il cattivo funzionamento dell’ippocampo, l’area deputata alla formazione dei ricordi. Questi due studi hanno aperto la strada a sperimentazioni cliniche che valutino se farmaci ‘agonisti-dopaminergici’, che promuovono cioè l’attivazione delle vie della dopamina, siano in grado di stimolare la plasticità cerebrale e quindi la conservazione delle facoltà cognitive quando somministrati a pazienti con malattia di Alzheimer”.