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Alimentazione

Se la bibita costa troppo la salute ne guadagna

26/03/2018

Forse per il portafoglio non sarà una bella notizia ma per la prevenzione di patologie come diabete e obesità lo è di certo: l’aumento del prezzo delle bibite ha un impatto positivo sulla salute delle persone perché contribuisce a ridurne i consumi. È quanto hanno scoperto alcuni ricercatori del Regno Unito, dopo un’analisi portata avanti in una catena di ristoranti italiani con sede in Gran Bretagna. Ne parliamo con i professionisti di Humanitas.

 

L’esperimento condotto nel Regno Unito

La scoperta è stata possibile grazie alla Jamie’s Italian, catena di ristorazione ispirata alla cucina nostrana in cui i manager hanno notato per primi che molti meno clienti ordinavano bibite al posto dell’acqua dopo l’aumento dei prezzi di queste bevande piene di zuccheri aggiunti. Ad avvallare “dall’alto” la scelta di aumentare i prezzi delle bevande zuccherate sono stati poi i ricercatori della London School of Hygiene and Tropical Medicine dell’Università di Cambridge, che hanno ritenuto questa mossa una validissima strategia di prevenzione di malattie come l’obesità e le patologie cardiovascolari.

 

 

Perché gli zuccheri aggiunti fanno male

Le bevande contenenti zuccheri sono sempre da evitare, non solo durante i pasti. Occorre abituarsi a non associare il dissetarsi con l’assunzione di cose dolci”. Le bibite quindi non dovrebbero mai essere ordinate in sostituzione dell’acqua al ristorante, né dai bambini né dagli adulti. Come scoraggiare quindi il consumo eccessivo? Secondo i ricercatori, l’aumento dei prezzi potrebbe essere un ottimo deterrente. Dallo studio pubblicato sul Journal of Epidemiology and Community Health è emerso che anche solo 10 pence in più (una somma che in Europa corrisponde a 10 centesimi di euro) nel Regno Unito erano in grado di far diminuire fino all’11 per cento le vendite di queste bevande ai clienti in sole 12 settimane, mentre con un ulteriore aumento del prezzo nei 6 mesi successivi si poteva arrivare fino a una diminuzione delle ordinazioni pari al 9,3 per cento.

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