A rivelarlo è stato un sondaggio promosso e realizzato da Fondazione Veronesi in occasione della Giornata mondiale senza tabacco: far salire il prezzo del tabacco farebbe automaticamente diminuire il numero dei fumatori. Il denaro, insomma, sarebbe il miglior incentivo sociale per scoraggiare gli italiani all’uso delle sigarette. Almeno quelli che non si possono permettere di spendere troppi soldi. Molti, a quanto sembra dai numeri, visto che il vizio del fumo è già attualmente molto costoso. Il prezzo medio di un pacchetto di venti sigarette oggi si aggira intorno ai 5 euro. Un fumatore che consumi un pacchetto al giorno manda quindi in fumo ogni anno oltre 1.800 euro. A questa spesa possono inoltre aggiungersi anche costi indiretti legati ai danni alla salute. C’è però anche il rischio consistente che i tabagisti più incalliti passino ad altre soluzioni considerate più economiche, quali e-cig o acquisto di pacchetti tramite canali non ufficiali e quindi illegali. Ne abbiamo parlato con Giulia Veronesi, responsabile della Chirurgia Toracica e Robotica di Humanitas.
Alzare il prezzo sarebbe la strategia vincente
Voluta da Fondazione Umberto Veronesi e condotta da AstraRicerche, la ricerca sugli «effetti del cambiamento del prezzo del tabacco» è stata presentata a Milano in occasione della Giornata senza tabacco che si celebra in tutto il mondo il 31 maggio. L’indagine è stata condotta alla fine di aprile 2019 tramite 1.500 interviste a fumatori fra i 15 e i 65 anni.
“Undici milioni di italiani continuano a fumare e il numero non diminuisce – dice la dottoressa Veronesi -. Da anni siamo praticamente in una situazione di stallo: non riusciamo né a far calare in modo significativo il numero di quanti iniziano, né a far aumentare il numero di quelli che riescono a smettere”. Ecco perché servirebbero nuove strategie, come quella suggerita dall’indagine di Fondazione Umberto Veronesi, da sempre impegnata nella lotta al fumo, sia nelle scuole con il progetto «No Smoking Be Happy», sia nella popolazione generale.
Puntare sull’aumento del prezzo delle sigarette potrebbe essere una strategia vincente così come lo è stata l’estensione del divieto in parchi, stadi e locali all’aperto. «Leggi e proibizioni, però, da sole non possono bastare – precisa Veronesi -. Serve un maggiore sostegno per chi prova a smettere e per incentivare i tabagisti, dai centri per la disassuefazione ai farmaci che aiutano a contrastare l’astinenza, che ad oggi in Italia non sono rimborsati. Così come servono politiche di controlli accurati per sorvegliare la salute di tabagisti ed ex tabagisti».
Fumo di sigaretta e cancro: un legame ormai noto
Il fumo è responsabile dell’85% dei casi di cancro al polmone e del 70% di quelli della vescica, ma anche di altre diverse neoplasie fra cui stomaco, fegato, bocca, laringe, faringe e pancreas. Quella fra tumori e sigarette è una relazione che ormai è certa. Così come quella dell’aumento del rischio di sviluppare patologie cardiovascolari e di favorire ictus, arteriosclerosi e malattie vascolari periferiche. E a questo va aggiunta un’altra serie di malattie respiratorie: dalla broncopneumopatia cronico ostruttiva (Bpco), destinata a diventare la terza causa di morte a livello mondiale, a bronchiti e polmoniti. Nei maschi, poi, il fumo può essere causa di disfunzione erettile e impotenza.
Quanto si spende per il tabacco?
Il prezzo medio di un pacchetto di venti sigarette si aggira oggi intorno ai 5 euro. Un fumatore che consumi un pacchetto al giorno manda quindi in fumo ogni anno oltre 1.800 euro.
Ma la stima della propria spesa annuale per il tabacco che fanno i fumatori risulta sempre inferiore a quanto è nella realtà: più di un terzo (34%) spende almeno 100 euro al mese, e un ulteriore 25,8% tra i 700 e i 1.200 euro all’anno ma quasi la metà dei tabagisti si è sorpresa che le cifre fossero così alte.
Per il 21% la somma era molto superiore di quanto si aspettavano, per il 28 % era superiore.
Di fronte a tre diversi gradi di aumento – del 20%, del 50% e del 100% – del prezzo del tabacco ecco le diverse reazioni. Davanti al primo aumento, quello più esiguo, il 5% dei tabagisti dice che smetterebbe di fumare e un ulteriore 18% diminuirebbe molto. Le percentuali salgono insieme all’aumento del prezzo: con una maggiorazione del 50% del prezzo a dire addio al tabacco sarebbe oltre il 20% dei fumatori, mentre diminuirebbe molto il 38,5.
Di fronte ad un vero e proprio raddoppio dei prezzi, smetterebbe di fumare il 46% e ridurrebbe fortemente il 32,4%.
Il rischio di passaggio ad altre soluzioni è però molto consistente: il 71% degli intervistati passerebbe alle sigarette elettroniche e il 20,5% cercherebbe di ricorrere all’acquisto tramite canali non ufficiali.
Eppure l’ipotesi più «azzardata», quella di un raddoppio del prezzo, trova stranamente favorevoli quasi la metà degli interpellati. Solo il 35% degli intervistati si è detto contrario all’aumento. «Se gli italiani ipotizzano che l’extra gettito fiscale venga utilizzato per campagne antifumo, per la prevenzione e la cura delle patologie correlate al fumo allora il favore sale al 57,3% e l’opposizione cala al 21,2% – conclude la dottoressa Veronesi – . Infine, la maggioranza è favorevole a estendere i limiti relativi al fumo ai luoghi pubblici (come parchi, strade, spiagge) e sa che un Paese smoke-free avrebbe enormi risorse economiche liberate, grazie a minori spese per la cura dei tumori».