Tumore al seno, negli Usa più accessi ai test genetici. È l’ “effetto Jolie”

Nel 2013 sul New York Times Angelina Jolie comunicò di essersi sottoposta a una mastectomia radicale bilaterale, un intervento di asportazione preventiva delle ghiandole mammarie. Tale intervento era stato indicato poiché l’attrice, eseguendo un test genetico, aveva scoperto di essere portatrice di una mutazione associata a un maggior rischio di sviluppo di tumore al seno e all’ovaio. Nelle due settimane successive alla pubblicazione dell’articolo, negli USA si è assistito a un aumento del numero di donne che hanno effettuato il medesimo test genetico. Tale aumento non è stato seguito, però, da un incremento corrispettivo del numero di mastectomie poi eseguite.

Sono queste le caratteristiche dell’ “effetto Jolie” secondo un team di ricercatori della Harvard Medical School di Boston (USA). I ricercatori hanno documentato tale fenomeno in un articolo pubblicato su British Medical Journal: l’incremento del numero dei test genetici effettuati e il non conseguente aumento delle mastectomie – dicono – indicherebbe che i test eseguiti non hanno portato a un aumento del numero di donne identificate come portatrici di mutazione genetica.

BRCA 1 e 2 i geni mutati associati a tumore al seno

Nel suo intervento Angelina Jolie ha dichiarato di aver perso la mamma per tumore al seno e alle ovaie, la nonna e la zia per tumore al seno. Da qui, dunque, la decisione di sottoporsi al test di BRCA1-2, i geni noti per aumentare significativamente le probabilità di sviluppare tali tumori se mutati. Dopo quell’articolo le sue dichiarazioni avrebbero sensibilizzato molte donne. Esaminando infatti i database delle assicurazioni sanitarie riferite a oltre 9 milioni di donne tra 18 e 64 anni di età, i ricercatori hanno rilevato un aumento del 64% del tasso di accesso al test nei 15 giorni successivi la diffusione della notizia sulla mastectomia bilaterale dell’attrice.

(Per approfondire leggi qui: Geni BRCA 1 e 2 alterati “spia” di aggressività del tumore prostatico)

Tuttavia, nei 6 mesi seguenti, il numero di mastectomie non è aumentato tra chi si era sottoposta al test. Ciò significa, dunque, che quelle donne avevano verosimilmente a priori una bassa probabilità di essere portatrici di una mutazione genetica predisponente il tumore del seno o dell’ovaio.

L’intervento di una star come Angelina Jolie – concludono i ricercatori – sebbene possa aver influenzato l’accesso a determinati servizi sanitari, in concreto potrebbe non aver raggiunto in maniera selettiva le donne realmente beneficiarie di tale analisi genetica. In altre parole, pur avendo acceso i riflettori sul test genetico associato al tumore al seno e dell’ovaio, la sua esperienza potrebbe aver inavvertitamente alimentato un “abuso” dei test fra le donne a basso rischio.

Chi dovrebbe fare quel test? L’abbiamo chiesto agli specialisti di Humanitas. L’esecuzione dell’analisi mutazionale dei geni BRCA1 e BRCA2 è vincolata da specifici criteri di selezione, quali ad esempio una familiarità spiccata per neoplasie al seno/ovaio (almeno 3 casi in famiglia, imparentati di I grado fra loro) oppure casi diagnosticati prima dei 36 anni d’età, oppure ancora forme bilaterali o di tumore mammario maschile», risponde la specialista. «L’evidenza poi di mutazioni patogenetiche a carico di uno di questi geni fornisce la chiara informazione di essere portatori di un elevato rischio di ammalarsi e che quindi è indicato sottoporsi a degli esami di screening specifici e regolari ed eventualmente a tecniche di chirurgia profilattica.

(Per approfondire leggi qui: Cosa succede se ad ammalarsi è un gene?)

Non tutte le donne “portatrici” svilupperanno un tumore al seno nel corso della loro vita?

Mutazioni patogenetiche a carico del gene BRCA1 incrementano il rischio di ammalarsi di tumore alla mammella fino al 65-80% e all’ovaio fino al 40% mentre mutazioni patogenetiche nel gene BRCA2 fino al 60% e 20% rispettivamente. Questo significa che non tutti gli individui portatori di tali alterazioni genetiche si ammaleranno, ma il loro rischio è molto più elevato rispetto a quello della popolazione generale.

In caso di risultato positivo del test come ci si comporta?

Le raccomandazioni fondamentali sono due: screening intensificato (ovvero ogni 6 mesi) e discussione con gli specialisti di riferimento di eventuali interventi di chirurgia profilattica (mastectomia bilaterale e salpingo-ooforectomia bilaterale). Esiste poi la possibilità della farmacoprevenzione, ovvero l’assunzione di farmaci a scopo preventivo, ma in Italia questo è praticabile solo attraverso l’adesione a protocolli di sperimentazione.

Redazione Humanitas Salute: