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Screening oncologici, nel 2015 partecipazione ancora bassa

26/12/2016

Circa metà dei soggetti invitati a sottoporsi allo screening oncologico non dà seguito alla richiesta. Sebbene sia aumentato il numero degli inviti, l’adesione resta sostanzialmente al palo. Pertanto i dati positivi ci sono ma non completamente. Sono alcune delle conclusioni del “Rapporto 2016 dell’Osservatorio Nazionale Screening” sulla prevenzione delle tre forme di tumoremammella, cervice uterina e colon-retto – per cui esiste in Italia un programma di screening rivolto alla popolazione generale secondo diverse modalità. I dati si riferiscono al biennio 2014-2015.

“Il bicchiere è meno vuoto”, dice Marco Zappa, il direttore dell’osservatorio, riferendosi ai progressi rilevati nell’ultima fotografia sulla prevenzione oncologica. Nel 2015 sono stati invitati quasi 13 milioni di soggetti, un milione in più rispetto al 2014; più dell’80% della popolazione in età target viene regolarmente invitato allo screening mammografico, poco meno a quello cervicale e colo-rettale. Inoltre, sono stati eseguiti poco meno di 6 milioni di test, più di 300mila in più rispetto al 2014. Persistono, ma sono un po’ meno evidenti del passato, le differenze tra le regioni del Nord e quelle del Centro-Sud.

Screening mammografico

Il programma nazionale di screening è indirizzato a donne da 50 a 69 anni di età. La mammografia viene eseguita ogni due anni. Il 2014 e 2015 hanno visto un aumento del numero di inviti: +4% circa nel 2014 e quasi +14% nel 2015. Ma l’adesione all’invito si aggira intorno agli stessi livelli: poco più di una donna su 2 si è effettivamente sottoposta a mammografia (oltre il 57% nel 2014; 55% nel 2015).

(Per approfondire leggi qui: Tumore mammella, una mammografia ogni anno se il seno è più denso?)

Screening colo-rettale

Per questo programma nazionale la “popolazione bersaglio” è costituita da uomini e donne che abbiano compiuto 50 anni di età. L’esame di riferimento per la prevenzione del tumore al colon-retto è il cosiddetto SOF, ovvero la ricerca del sangue occulto nelle feci. Anche in questo caso i numeri del rapporto sono incoraggianti solo sul fronte delle richieste inoltrate: nel solo 2015 è stato invitato mezzo milione di individui in più rispetto al 2014 (circa 5milioni e 350mila persone). Ma l’adesione all’invito appare diminuita al 43% (nei bienni precedenti, a partire da quello 2008-09, il dato era costante e pari al 46%; nel 2014 era del 44%). Sul dato nazionale pesa molto la scarsa partecipazione dei residenti nelle regioni del Sud. In generale agli inviti rispondono meglio le donne degli uomini e, per entrambi i sessi, gli ultrasessantenni.

Screening cervicale

Ogni tre anni le donne tra 25 e 64 anni di età sono invitate a sottoporsi a un esame che potrebbe condurre eventualmente a una diagnosi precoce di tumore alla cervice. Lo screening cervicale ha conosciuto negli ultimi anni importanti novità, ma partiamo dai dati. Nel 2015, rispetto all’anno precedente, è aumentato il numero degli inviti tuttavia, per la prima volta dal triennio 2008-2010, l’adesione è scesa, seppur leggermente, sotto il 40%.

La novità più rilevante è l’adozione di un nuovo test, quello dell’HPV, il virus del Papilloma. Un’infezione persistente di HPV, virus trasmesso per via sessuale, è causa di tumore cervicale e, come hanno valutato diverse ricerche, il test ha mostrato una maggiore sensibilità nell’individuare lesioni tumorali precoci rispetto al Pap-test. Quarantanove programmi di screening hanno adottato, come esame primario, la ricerca del DNA dei tipi “ad alto rischio” di Papillomavirus. L’adesione al test HPV è maggiore di quella del programma generale di screening e si aggira intorno al 50%.

(Per approfondire leggi qui: Tumore cervice uterina, Pap-test e test HPV: come sta cambiando lo screening)

«Sottoporsi agli esami previsti dai programmi di screening è un’abitudine importantissima per la prevenzione e la diagnosi precoce dei tumori», ricorda la dottoressa Lorenza Rimassa, vice responsabile dell’UO di Oncologia Medica dell’ospedale Humanitas. «Grazie a questi esami si possono diagnosticare lesioni precancerose e quindi trattarle, si può giungere tempestivamente a una diagnosi e, dunque, a un trattamento altrettanto precoce. In questo modo si può ricorrere a più opzioni terapeutiche e aumentano le probabilità di guarigione», conclude la specialista.

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