“Sono una donna indipendentemente dal seno”, dice Debbie, 45 anni, sopravvissuta a un tumore alla mammella, sottoposta a doppia mastectomia, che ha preferito non ricostruire il proprio seno dopo l’intervento. Come lei altre donne che hanno scelto di “rimanere piatte” dopo l’asportazione delle mammelle. “Going flat”, dicono negli Stati Uniti, una scelta motivata da ragioni personali, etiche, estetiche e di salute. A queste donne il New York Times ha dedicato un articolo.
Debbie e la sua amica Marianne, 51 anni, si sono mostrate a petto nudo in un video caricato dalla piattaforma wisdo.com che su Facebook ha totalizzato oltre 177mila visualizzazioni. “Avere il seno è una scelta, non una necessità”, si legge in sovrimpressione nel video. Debbie ha detto no alle protesi: “Qualcosa di estraneo nel mio corpo dopo un cancro era l’ultima cosa che volevo», ha detto al New York Times.
Marianne ha invece una storia diversa. Ha prima scelto la ricostruzione mammaria e poi ha deciso di supportare il movimento delle donne “going flat” dopo quattro infezioni in cinque mesi dovute alle protesi.
Negli Usa ricostruzioni del seno aumentate del 35% dal 2000
Negli Stati Uniti, così come in Italia, la ricostruzione è un intervento standard nella terapia del tumore mammario, coperto, rispettivamente, dalle assicurazioni e dal Sistema Sanitario Nazionale. Oltreoceano dal 2000 c’è stato un aumento del 35% di interventi, dice la American Society of Plastic Surgeons. Secondo la Sicpre-Società italiana di Chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, la percentuale di donne che si sottopongono a ricostruzione è buona ma lontana dal 100%.
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«La ricostruzione del seno dopo la mastectomia è stata una conquista delle donne e la possibilità di eseguire questo tipo di intervento è anche un indicatore della qualità delle strutture sanitarie che prendono in cura pazienti con tumore al seno», dice il dottor Corrado Tinterri, direttore della Breast Unit dell’ospedale Humanitas.
«Moltissime pazienti chiedono agli specialisti di poter tornare come prima perché la mastectomia resta una ferita profonda sotto ogni punto di vista. Al netto della libertà personale, l’obiezione delle donne americane “going flat” lascia perplessi: non ci sono criticità di alcun tipo legate alla possibilità di ricorrere alla ricostruzione del seno, in nessun modo configurabile come una “forzatura”. Semmai – sottolinea il dottor Tinterri – le criticità riguardano l’impossibilità di assicurare questo tipo d’intervento a tutte le donne che lo richiedono. Oggi il numero di ricostruzioni eseguite è inferiore a quanto le donne si aspettino».
L’intervento di ricostruzione è comunque a vantaggio delle donne
Nelle motivazioni delle donne “going flat” c’è anche un atto di accusa nei confronti di alcuni medici che secondo loro si concentrano eccessivamente sull’aspetto estetico senza considerare il rischio di complicazioni o gli effetti che le procedure ricostruttive hanno nel tempo: “Nessun medico mi ha mai detto che c’era la possibilità di rimanere senza seno”, ha confessato Marianne al quotidiano americano.
In nessun modo si può però parlare di “ricostruzione a tutti i costi” o di “obbligo di ricostruzione del seno”: «Per una donna che ha sconfitto il tumore alla mammella il primo pensiero è star bene e godere di una qualità di vita soddisfacente. Questo può anche passare dal rifiuto di sottoporsi a ricostruzione del seno se la donna decide in questo modo. Il no all’intervento riguarda comunque un numero davvero molto esiguo di donne. C’è chi motiva il rifiuto perché non vuole l’impianto di un materiale estraneo nel proprio corpo o per una scelta personale, perché dopo i 70 anni magari vuol dare meno peso agli aspetti estetici», dice il dottor Alberto Testori, chirurgo toracico e direttore associato della Breast Unit di Humanitas. «Tuttavia – puntualizza – il medico ha il dovere di proporre l’intervento ricostruttivo, di ascoltare i dubbi della donna, di esporre i rischi e i benefici che ne derivano, e in alcuni casi anche di caldeggiarlo».
L’intervento di ricostruzione del seno viene offerto alle pazienti e va comunque a loro vantaggio, come spiega il dottor Testori: «Diversi studi hanno dimostrato che l’asportazione della mammella viene vissuta dalle donne come una menomazione dal punto di vista fisico e psicologico. In un primo momento può prevalere la preoccupazione di sconfiggere il tumore e quindi la paziente può non pensare subito alle ricadute estetiche della mastectomia. Se in questa fase avanza dei dubbi sull’opportunità di ricorrere alla ricostruzione del seno il medico deve cercare di risolverli parlando con lei; l’esperienza, infatti, spesso ha dimostrato che a distanza di 6-7 mesi dalla mastectomia la donna che si guarda allo specchio e si vede “mutilata” rischia di dover fare i conti con la depressione e ripensare all’intervento di ricostruzione che sarebbe a questo punto molto più invasivo».
Le donne sono sempre informate sui rischi e sui benefici della ricostruzione del seno
«Non dobbiamo sottovalutare gli aspetti funzionali e biomeccanici – aggiunge il dottor Tinterri. Le donne che non fanno la ricostruzione del seno rischiano infatti di subire deformazioni della colonna vertebrale per degli atteggiamenti posturali non fisiologici e per l’asimmetria della parete toracica».
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«Sosteniamo l’importanza della ricostruzione del seno ma sempre nel rispetto della volontà della paziente», commenta il professor Marco Klinger, responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia plastica di Humanitas. «L’intervento di ricostruzione aiuta la donna che ha sconfitto il tumore a superare il trauma, il ricordo della malattia e a cancellare le cicatrici, non solo quelle fisiche. Ma si tratta sempre di un intervento chirurgico, più o meno invasivo a seconda dei casi, di cui la donna viene puntualmente informata dai medici. Il consenso della donna è pertanto imprescindibile», conclude l’esperto.
Alla donna vengono dunque sempre esposti i rischi dell’operazione: «Dalle infezioni al rigetto della protesi, rischi comunque molto ridotti, una percentuale limitatissima. In alcune situazioni possono essere maggiori come per le donne che hanno fatto la radioterapia e che hanno una vascolarizzazione dei tessuti già molto compromessa per effetto della terapia. Ma anche in questo caso esistono soluzioni alternative come l’allestimento di un muscolo in grado di permettere la ricostruzione della mammella», ricorda il dottor Testori.
«Oggi giorno abbiamo a disposizione diverse tecniche che ci permettono di minimizzare il numero di infezioni e migliorare la ricostruzione del seno. L’esperienza italiana ed europea dimostra che il numero di infezioni è così contenuto da non giustificare un approccio contrario alla ricostruzione del seno dopo la mastectomia», conclude il dottor Tinterri.