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Tumore prostata, sorveglianza attiva efficace quanto intervento

10/03/2017

“Sorvegliato attivamente” nell’arco di 10 anni, il tumore alla prostata può non rappresentare un pericolo per chi è colpito. Il tasso di sopravvivenza a 10 anni dalla diagnosi sarebbe infatti lo stesso tanto se si interviene con l’intervento chirurgico o la radioterapia quanto adottando un protocollo di sorveglianza attiva. È la conclusione di uno studio delle università di Oxford e Bristol pubblicato su New England Journal of Medicine.

I tre tipi di trattamento sarebbero associati tutti a un bassissimo tasso di mortalità per tumore alla prostata, pari all’1%, sebbene la chirurgia e la radioterapia riducano il rischio di progressione del tumore nel tempo in misura maggiore rispetto alla sorveglianza attiva. Ma in caso di intervento gli effetti indesiderati collaterali sarebbero comunque maggiori.

Lo studio è stato condotto in nove centri del Regno Unito tra il 1999 e il 2009 su oltre 82mila pazienti fra 50 e 69 anni d’età sottoposti a test del PSA (l’antigene prostatico specifico, marcatore del tumore alla prostata). Sono state effettuate 1.643 diagnosi: i pazienti sono stati divisi casualmente in tre gruppi e assegnati ai tre tipi di intervento (prostatectomia, radioterapia e sorveglianza attiva).

(Per approfondire leggi qui: Tumore alla prostata, il rischio aumenta con un girovita più largo?)

Con sorveglianza attiva meno effetti collaterali

Dai dati è emerso come il tasso di progressione della patologia si fosse ridotto di un valore superiore alla metà fra i pazienti sottoposti a prostatectomia o radioterapia. Il tumore era progredito in 1 paziente su 5 nel gruppo dei “sorvegliati” e in meno di 1 paziente su 10 in chi era stato sottoposto a radioterapia o a intervento chirurgico. Tra questi si sono riscontrati però maggiori effetti collaterali, come incontinenza e problemi nella vita sessuale, lamentati ancora dopo sei anni. Metà del campione è stato seguito attivamente anche oltre i 10 anni non lamentando effetti collaterali.

A ogni modo la qualità generale della vita di tutti i pazienti non ha risentito in generale di ogni forma di trattamento.

Cosa si intende per sorveglianza attiva?

«È un’opzione “terapeutica” che prevede un’attenta selezione del paziente. Generalmente si ricorre alla sorveglianza attiva in caso di carcinomi prostatici a uno stadio molto iniziale o se l’aspettativa di vita è inferiore a 10 anni», risponde il dottor Nicolò Buffi, urologo dell’ospedale Humanitas. «Generalmente si esegue una rebiopsia, ovvero una nuova biopsia, a distanza di 1 anno dalla prima. Tuttavia, una quota di pazienti esce dal protocollo di sorveglianza attiva nel caso di progressione del tumore prostatico».

(Per approfondire leggi qui: Tumore alla prostata, ecco quanto pesa aver avuto un caso in famiglia)

Secondo lo studio i tre trattamenti sarebbero associati a bassa mortalità, ma radioterapia e chirurgia comporterebbero maggiori effetti collaterali: «L’intervento chirurgico e la radioterapia sono associati alla comparsa di effetti indesiderati che riguardano la continenza urinaria e la potenza sessuale. Nei pazienti più giovani si tende a privilegiare l’intervento chirurgico rispetto alla radioterapia per garantire una migliore qualità di vita», conclude lo specialista.

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