Ol Ari Nyiro è un’oasi di biodiversità estesa per 400 km2 a circa 250 km da Nairobi, capitale del Kenya. Un polmone verde incontaminato in un’Africa sempre più cementificata, dove crescono moltissime varietà di piante, vivono più di 470 specie di uccelli e molti altri animali, leoni, scimmie ed elefanti. Un luogo in cui si può rivivere il passato, la nostra storia e la storia dell’umanità. Un luogo da proteggere e conservare se si vuole provare ad avere un futuro. Ol Ari Nyiro è anche il luogo del cuore di Kuki Gallmann, che di questo ranch ha fatto la sua casa. Lo è dall’inizio degli anni ’70 da quando la scrittrice italiana, ora naturalizzata kenyota, lasciò l’Italia con il marito Paolo Gallmann. Da lì non se n’è più andata e ha raccontato quelle terre e quei cieli stellati nei suoi libri di successo, tradotti in tutto il mondo. Nel 2000 la sua autobiografia Sognavo l’Africa è diventata un film con protagonista Kim Basinger, Sognando l’Africa.

(Per approfondire leggi qui: Kuki Gallmann, sognando l’Africa con Land of Hope)
Dopo la morte del marito Paolo e del figlio Emanuele, Gallmann decide di onorarne il ricordo fondando la Gallmann Memorial Foundation. Ad aiutare Kuki oggi c’è la figlia Sveva, la nuova generazione, che ha saputo coinvolgere e attivare tanti giovani kenioti impegnandoli nella gestione della riserva naturale e nella realizzazione di decine di progetti per la difesa della natura, nella riforestazione e nell’educazione della popolazione locale. Insieme a Kuki e Sveva collaborano numerose associazioni umanitarie ed Onlus come la Maisha Marefu Onlus di cui fa parte il dottor Luca Malvezzi, otorinolaringoiatra dell’ospedale Humanitas.
Medici volontari aiutano Kuki Gallmann a rispondere alle emergenze sanitarie in Kenya
La Fondazione ha contribuito direttamente alla salute delle comunità locali attraverso alcune iniziative tra cui la realizzazione di una Maternity Clinic e di una sala operatoria che ha fornito oltre 2mila operazioni eseguite da chirurghi volontari. «Malnutrizione e scabbia, infezioni polmonari e intestinali sono le emergenze sanitarie con cui dobbiamo fare i conti ogni giorno», racconta la scrittrice.

Il biennio 2008-2009 è ricordato da Kuki Gallmann come uno dei più terribili per il Paese africano, due anni ininterrotti di siccità seguiti da interminabili piogge torrenziali che hanno causato ripetute inondazioni. «Quando ho letto che in Africa per colpa della siccità 10 milioni di persone, fra cui moltissimi bambini, avrebbero rischiato di morire di fame, ci siamo attivati e abbiamo dato da mangiare a oltre 55mila persone. La fortuna ha voluto che in quei giorni un ricco contadino volesse acquistare un attrezzo agricolo, che ormai ritenevo inutilizzabile. Sono riuscita a vendere il macchinario, ma soprattutto a coinvolgere quell’uomo ad un pagamento straordinario costituito dalle scorte di grano in eccesso nel suo magazzino. Così a trasformarsi in un magazzino è stata la mia casa e anche nel punto di distribuzione dei pasti ricavati da quel raccolto. Ogni giorno una lunga fila di persone si accalcava fuori dal cancello aspettando un pasto caldo!», dice, sorridendo, Kuki.
Land of Hope, al centro della collaborazione tra Gallmann e Fondazione Humanitas

(Per approfondire leggi qui: “Donne per le donne”: dal Kenya all’Humanitas)
Land of Hope vive anche della collaborazione fra l’ospedale Humanitas, la Fondazione Humanitas e Kuki Gallmann. Il progetto «Donne per le donne” promosso dal dottor Malvezzi ne è un esempio. Le donne di Laikipia, la regione del Kenya in cui si trova Ol Ari Nyiro, realizzano a mano, con tessuti colorati locali, le borse “porta drenaggio” per le pazienti dell’ospedale. Dice la Gallmann “un ospedale colorato regala un po’ più di felicità e aiuta a curare e curarsi meglio!».
Cosa non si aspettava di trovare in Kenya, durante i suoi viaggi, cosa l’ha sorpresa?
«La generosità e l’ospitalità di tanta gente povera – risponde Gallmann – pronta a dividere con gli ospiti, quali siamo noi, quel poco che hanno. Riescono a trovare il tempo per gli altri, cosa che tutti dovrebbero imparare a fare per aiutare chi è in difficoltà. Noi cerchiamo di farlo, anche perché credo che tantissimi vogliano aiutare l’Africa, ma non sanno come farlo: con i nostri progetti cerchiamo di trasformare questo desiderio in aiuto concreto».
