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Tumori del colon-retto: dalla prevenzione alla cura

23/04/2002

Quali sono i segnali che si manifestano in presenza di un tumore al colon o al retto? Quali le cure? Qual è il ruolo dell’alimentazione nella prevenzione? Questa settimana il dott. Emanuele Meroni, capo sezione di Endoscopia Digestiva di Humanitas prosegue l’analisi delle cure e della prevenzione di questa malattia.

Quali sono i sintomi dei tumori del colon?
“I sintomi sono genericamente quelli che si può immaginare produca una massa che cresce dentro un organo cavo. Quando la neoplasia è nella fase iniziale, allo stadio di polipo, i sintomi generalmente sono molto poco specifici o assenti, a meno che l’escrescenza non sia talmente grossa da ostruire il canale, o determinare evidente sanguinamento, o produrre un’abbondante quantità di muco visibile con le feci. Il tumore del colon retto si può manifestare all’inizio solo con alterazioni delle abitudini intestinali, provocando stitichezza, o l’alternarsi di stitichezza a diarrea, oppure tracce di sanguinamento. Man mano che il tumore cresce e guadagna spazio all’interno dell’intestino, è più probabile che si osservi sanguinamento rettale o che esistano problemi nel transito delle feci e dell’aria: si possono avere in questo caso feci più sottili, a matita, o episodi subocclusivi. È bene sottolineare che spesso si tratta di sintomi non specifici, comuni ad alcune malattie benigne dell’intestino. I tumori del colon destro (tratto ascendente) sono più subdoli e, generalmente, vengono diagnosticati più tardi rispetto a quelli del colon sinistro (colon discendente, sigma, retto). Questo succede perché il calibro del colon destro è maggiore ed è difficile che un polipo, per quanto grosso, arrivi a provocare ostruzione; inoltre a quel livello le feci sono ancora liquide”.

Come si curano?
“In presenza di adenoma, la cura – prosegue il dottor Meroni – consiste sempre nell’asportazione del polipo. La possibilità di intervenire endoscopicamente viene decisa in base alle sue dimensioni, alle caratteristiche della sua superficie (esistono minime irregolarità sospette per degenerazione maligna) e al grado di displasia evidenziato dall’esame istologico di biopsie. La displasia può essere lieve, moderata e grave: quest’ultima è già un carcinoma in situ che però non ha ancora intaccato la membrana basale e rimane confinato allo strato più superficiale, epiteliale. In questo caso il paziente, una volta operato, può considerarsi guarito. Quando invece il tumore oltrepassa la membrana basale e diventa invasivo è potenzialmente in grado di dare origine a metastasi, a causa della produzione di sostanze che facilitano la disseminazione attraverso il sangue e la linfa. Questa potenzialità varia a seconda dell’infiltrazione del tumore, divenendo tanto maggiore quanto più esso è profondo e raggiunge i vasi ematici e linfatici. L’organismo riesce a contrastare singole cellule metastatiche in circolo, ma fino a un certo punto. Quando la capacità di aggressione del tumore supera le capacità di difesa immunitaria, la metastasi cresce. Finché si è nell’ambito di un polipo benigno, con o senza displasia, si può comunque stare tranquilli.

Come viene eseguito l’intervento?
Gli adenomi vengono comunemente asportati grazie ad interventi in endoscopia. Nel caso di polipi senza peduncolo, detti “sessili”, molto estesi e localizzati nel retto, la parte terminale dell’intestino, può essere utilizzata una tecnica recentissima che permette di asportarli praticando la mucosectomia, cioè la resezione della porzione più interna della parete intestinale insieme con il polipo. Gli adenomi possono anche essere distrutti col calore. Le tecniche endoscopiche a disposizione sono varie. Si possono utilizzare punte che bruciano la lesione e contemporaneamente determinano l’arresto del sanguinamento, strumenti in cui un gas ionizzato, l’argon, funge da veicolo per la corrente elettrica o, infine, si può praticare la laser terapia. Queste metodiche non consentono di effettuare l’esame istologico e quindi si impiegano quando si è sicuri che la lesione sia benigna, o quando si operi su piccole recidive di lesioni benigne o, ancora, quando un polipo di tipo sessile sia localizzato in parti dove è più pericoloso effettuare la mucosectomia. La chirurgia tradizionale interviene quando i polipi benigni sono a rischio, perché si sospetta che siano già cancerizzati e l’endoscopia non può essere un intervento radicale, oppure troppo estesi (quando un’intera parte di intestino è tappezzata da polipi). Oggi la chirurgia dispone anche di tecniche mininvasive in laparoscopia, che migliorano la qualità del decorso post-operatorio e riducono i tempi di recupero. La chirurgia è la terapia d’elezione per i tumori maligni. Quando però il tumore è in fase avanzata, l’endoscopia può aiutare asportando masse che ostruiscono il colon oppure inserendo dilatatori che allargano il lume intestinale ed eventualmente posozionando protesi a maglia (come quelle usate per dilatare le coronarie) in attesa di intervento chirurgico o a permanenza. Questi interventi endoscopici sono indicati come terapia palliativa non curativa nei casi non operabili (per estensione di malattia, per età del paziente o per gravi problemi clinici associati, come cardiopatie o broncopneumopatie), perché curano efficacemente i sintomi provocati da ostruzione, dal sanguinamento o dalla perdita abbondante di muco (che comporta problemi metabolici per squilibri elettrolitici del paziente) e quindi permettono una migliore qualità di vita”.

Quale prevenzione?
“Oltre a quanto detto sopra a proposito dei controlli periodici – conclude il dottor Meroni – è importante curare l’alimentazione che dovrebbe essere ricca in fibre e relativamente povera in grassi animali. Un elevato contenuto di fibre nella dieta può essere protettivo nei confronti del cancro colo-rettale. Le fibre, aumentando la massa fecale, riducono la concentrazione delle sostanze cancerogene contenute negli alimenti, modificano la flora batterica intestinale e promuovono la motilità del colon, riducendo così il tempo di contatto tra i cancerogeni e la mucosa intestinale. Non tutti i tipi di fibre hanno lo stesso effetto protettivo; le fibre digeribili, infatti, vengono idrolizzate e non modificano la massa fecale né il tempo di transito. Le fibre non digeribili, invece, come la metilcellulosa o lo psillio, associate ad adeguata idratazione, richiamano acqua all’interno delle feci aumentandone la massa e ammorbidendole.
Per quanto riguarda i grassi alimentari, si ritiene che la loro azione negativa si basi sulla variazione nella quantità e nella composizione degli acidi biliari normalmente immessi nell’intestino, dove la flora batterica opera la trasformazione degli acidi biliari in potenziali cancerogeni. Questo spiega perché una dieta ad alto contenuto di carne è associata ad aumentato rischio di tumori del colon. L’effetto protettivo del calcio è suggerito da studi epidemiologici che evidenziano una correlazione inversa tra l’incidenza del cancro colo-rettale e l’apporto dietetico di calcio. Infine la vitamina A, il beta-carotene e la vitamina E possono essere efficaci agenti chemopreventivi per il loro potere antiossidante che contrasta la formazione di radicali liberi”.

A cura di Giorgia Diana

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