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Humanitas ricorda Enzo Biagi

06/11/2007

E’ morto il grande giornalista Enzo Biagi, nato nell’agosto del 1920 a Pianaccio di Lizzano in Belvedere, nel bolognese. Era ricoverato per problemi cardiaci e renali da oltre una settimana in una clinica di Milano.
Enzo Biagi ha saputo declinare la sua vocazione al giornalismo su tutti i media: dalla carta stampata, ai libri, alla tv. Ha lavorato per anni in RAI e collaborato con le maggiori testate giornalistiche nazionali, tra cui il Corriere della Sera e La Repubblica. Ha scritto più di ottanta libri vincendo numerosi premi, tra cui il Bancarella: con la sua sapiente penna ha raccontato oltre 60 anni di storia italiana.
Nel 1996 non aveva voluto mancare all’inaugurazione dell’Istituto Clinico Humanitas, al fianco del suo amico Nicola Dioguardi, Sovraintendente Scientifico dell’ospedale.

Oggi, il prof. Dioguardi ricorda così Enzo Biagi:
“Un cronista che raccontava il nudo fatto di cronaca e da esso spremeva un suo commento. La sua razionalità tendeva a spiegare intrighi, la sua ragione si estendeva in territori assai più vasti della carta stampata e dei mezzi mediali. Sempre al servizio della sua coscienza. Per questo modo di vivere, più che di sentire, il suo discorso non ha mai avuto il tono della spontaneità costruita. Dai racconti di avvenimenti, non solo del nostro tempo, sui quotidiani e sui suoi libri, ai mezzi mediali la sua attività di descrittore (si considerava un cronista) scaturiva una profonda analisi anche se raccontava accadimenti con un piglio assai lontano da chi è convinto di avere capito tutto con la convinzione quindi anche di avere il diritto di analisi soggettiva basata su apparente obiettività. Non ha amato scrivere saggi presuntuosi ed insinceri. Ha persino scritto storia d’Italia a fumetti. Non per falso spirito popolare, ma come sperimentazione di mezzo comunicativo. Veramente non ha mai smesso di fare il cronista: ha sempre escluso dalla sua cronaca la quasi-certezza. Si poteva discordare sulla sua interpretazione, mai sul fatto. Ha sempre diviso le cose che ci succedono dalle cose che facciamo e ne ha scritto con un periodare rapido con proposizioni brevissime in un Italiano veramente snello e moderno. Si può dire che pur esponendo le sue idee non volle mai essere opinionista: rispettava troppo la libertà del lettore. Commentava i fatti che osservava alla luce di quello che fu il suo razionale impostato su quei criteri di giustizia e libertà che oggi sembrano essere scomparsi, ma che Egli ha, imperterrito, continuato a considerare basi non di un programma ma del suo modo di vivere.
E’ morto, infatti, uno stile di vita e un modo di fare giornalismo: in funzione di esso parlava anche della Sua vita con una narrazione non distaccata, sfrondata di ogni posizione di parte, ma di una trasparenza difficilmente eguagliabile.
Per me fu più di un amico. Venne anche all’inaugurazione di Humanitas nel 1996. Quando, nel dicembre 1979, fui sottoposto al suo stesso intervento a Londra, la prima telefonata fu la sua: mi disse ‘caro collega’ ho fatto la tua stessa strada tre settimane fa! Tranquillo, Donald Ross è un grande uomo”. (Nicola Dioguardi)

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