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Daniela Bettio: i citogenetisti, decifratori del libro dei geni

05/08/2005

L’analisi citogenetica (o mappa cromosomica o cariotipo) consiste nello studio dei cromosomi contenuti nel nucleo delle cellule. I cromosomi contengono i geni che sono costituiti dal DNA, la molecola che contiene tutte le informazioni necessarie per la “costruzione” dell’individuo e il funzionamento dell’organismo. Il genoma, l’intero patrimonio ereditario di ognuno di noi, è un grande libro scritto in un linguaggio semisconosciuto che citogenetisti, biotecnologi e biologi molecolari tentano di tradurre.
La dott.ssa Daniela Bettio, biologa e referente del Laboratorio di Citogenetica e Genetica Medica di Humanitas, ci racconta come si è appassionata alla citogenetica, offrendo una testimonianza importante a tutti i giovani che vogliono avvicinarsi a questa realtà.

Quali sono le figure professionali che lavorano all’interno di un laboratorio di citogenetica?
“In passato erano quasi unicamente biologi e qualche raro medico che affrontavano la ricerca in laboratorio, soprattutto nel campo della citogenetica dove si richiedeva una specifica conoscenza nel campo della biologia umana e delle colture cellulari: materie più consone al corso di laurea in biologia che in medicina. Con lo svilupparsi delle tecniche di biologia molecolare negli anni ‘80 e la loro integrazione negli studi citogenetici, è nata una nuova disciplina: la citogenetica molecolare. L’accoppiamento della citogenetica tradizionale con le più recenti tecniche di amplificazione e sequenziamento del DNA ha portato alla nascita di nuove discipline, quali ad esempio le biotecnologie. I laureati in biotecnologie hanno una buona preparazione di genetica di base e di tecniche molecolari per lo studio e la manipolazione del DNA, e soprattutto una forma mentale già improntata alla ricerca, che spinge ad andare al di là di quello che si vede, a porsi dubbi e a fare ipotesi. Certo, tutto questo non basta per fare un bravo ricercatore: la modestia, la consapevolezza di non sapere spingono la persona a ‘ricercare’; poi ci vogliono costanza e metodo per raggiungere l’obiettivo. In altre parole ci vuole sacrificio. Difficile pensare ad una ‘carriera’ di ricercatore, al massimo si può aspirare a fare il ricercatore.
Nella citogenetica non esiste la ricerca pura, come può essere per la fisica o la matematica, tutti gli studi in questo settore comportano aspetti più pratici che teorici.
Ritengo sia ancora il biologo, che abbia conseguito una specializzazione piuttosto che un dottorato di ricerca nel settore, la figura preponderante anche se l’esperienza diretta è requisito indispensabile per conseguire tali titoli in molti Stati. Pochi di noi ‘citogenetisti anziani’ avevano conseguito l’allora specializzazione in citogenetica umana, perché il nostro è un mestiere che si impara sul campo. La figura del biotecnologo è assolutamente adeguata come preparazione di base ad un laboratorio di citogenetica, ammesso che segua un adeguato training nel campo delle colture cellulari, tecniche di bandeggio e microscopia in fluorescenza. Per avere una persona minimamente autonoma dal punto di vista tecnico ci vuole almeno un anno, per arrivare poi all’indipendenza diagnostica e di ricerca direi almeno 5, anche se personalmente mi sono sentita di ‘gestire’ un laboratorio dopo 10 anni”.

Come è stata la sua esperienza nel campo della citogenetica?
“A me sembrava di non sapere niente dopo un anno! Sapevo fare solo alcune delle colture cellulari che si fanno normalmente in laboratorio e sapevo ottenere un cariotipo, cioè riconoscere ed appaiare solo i cromosomi ottenuti dai villi coriali (il materiale utilizzato per la diagnosi prenatale del primo trimestre e lo studio degli aborti spontanei) in quanto la mia borsa di studio riguardava l’analisi citogenetica degli aborti spontanei.
Bisogna precisare che ogni coltura cellulare ottenuta da campioni diversi porta ad una qualità del preparato cromosomico diversa: i cromosomi ottenuti da sangue periferico o liquido amniotico sono generalmente più lunghi e meglio bandati dei cromosomi ottenuti da tessuti abortivi o tumori. Chi inizia con la citogenetica su sangue periferico per passare all’oncologia o viceversa ha delle grosse difficoltà nel riconoscere i cromosomi e deve praticamente ricominciare da zero o quasi.
Per arrivare ad un’interpretazione diagnostica indipendente su tutti i tipi di tessuto analizzabili con tecniche citogenetiche ci ho messo dieci anni! Sono talmente tanti i riarrangiamenti che possono avvenire all’interno del cariotipo: traslocazioni, delezioni, duplicazioni, inversioni, anelli, cromosomi marcatori che è quasi impossibile trovare un caso uguale ad un altro.
Oltre al problema di riconoscere l’anomalia c’è quello più importante di capire quando e come è avvenuta e cosa si puo’ fare per il paziente e la sua famiglia. Per sconfinare poi nel campo della ricerca oltre all’esperienza pratica ed alla conoscenza della materia ci vuole passione!”.

E’ questa passione ad averla portata a Milano?
“Io sono sempre stata molto curiosa e la biologia per me era veramente affascinante. Fin dal primo anno di università sapevo con certezza che non volevo lavorare sulle “macchine”, facendo dosaggi e rilevamenti. Volevo lavorare a tutti i costi sugli organismi viventi ed il materiale biologico.
Per questo ho cominciato lavorando fin dal secondo anno dell’università per l’internato di laurea sperimentale sulla genetica degli organismi marini, unica tesi disponibile al momento all’Università di Padova dove ho conseguito la laurea. La situazione era difficile, posti per i ricercatori non ce n’erano ed anche il CNR era destinato a pochi.
Ho iniziato come frequentatore volontario nelle cliniche universitarie: dopo un anno all’Istituto di Neurologia di Padova, sono andata all’Istituto di Farmacologia, dove ho studiato l’effetto teratogeno dei farmaci antiepilettici in gravidanza. Ho poi deciso di cercare il mio futuro a Milano e l’ho trovato con il professor Simoni al laboratorio di citogenetica della Clinica Mangiagalli nel 1984, anno importante per la diagnosi prenatale del primo trimestre (villocentesi) eseguita con metodo diretto messo a punto proprio dal prof. Simoni. Ho imparato a fare le colture cellulari, la diagnosi prenatale del primo e secondo trimestre, lo studio degli aborti spontanei: argomenti che mi hanno subito appassionato.
All’Istituto Auxologico (IRCCS) è cominciata poi la parte più importante di ricerca su progetti finanziati dal Ministero. Dopo un anno negli Stati Uniti come ricercatore associato sono approdata in Humanitas in qualità di coadiutore biologo con l’incarico di aprire il Servizio di Citogenetica e Genetica Medica, e l’obiettivo di fare diagnosi clinica e ricerca.
La citogenetica infatti, come tutta la ricerca per lo sviluppo, è applicata alla diagnostica clinica. Non può restare fine a se stessa, ma deve concretizzarsi nella prevenzione, miglioramento della terapia e qualità di vita del paziente”.

Di Laura Capardoni

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