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Aids, due nuove armi per combatterlo

10/06/2008

Si chiamano Maraviroc e Raltegravir e sono due nuovi farmaci che vengono in aiuto nella battaglia contro l’Aids. Agiscono con meccanismi diversi da quelli finora sfruttati nella lotta farmacologica contro l’infezione da HIV-1, anche se non possono dirsi risolutivi per la cura della malattia. La strada da percorrere è ancora quella della ricerca senza abbassare la guardia perché l’Aids non è tuttora stato sconfitto, anzi, in alcuni paesi dell’Asia e dell’Africa è una vera emergenza sanitaria. Ne abbiamo parlato con il dott. Domenico Mavilio, immunologo clinico di Humanitas.

Dott. Mavilio, questi due nuovi farmaci rappresentano una novità nel settore?
“Si, sono due nuovi farmaci in grado di rallentare la replicazione e diffusione del virus HIV-1 nell’organismo umano con modalità differenti dai farmaci comunemente usati nella terapia convenzionale (inibitori della trascrittasi inversa o inibitori delle proteasi). Bisogna anche aggiungere, però, che anche se questi due nuovi farmaci, approvati nel 2007 dalla Food and Drug Administration (FDA) negli Stati Uniti, rappresentano certamente un aiuto in più nella lotta alla malattia, non sono medicinali di prima scelta nella cura dell’infezione da HIV-1 e vengono usati in seconda e terza istanza quando le terapie comunemente usate non sono più efficaci nel sopprimere i livelli di replicazione virale. Inoltre, da soli hanno mostrato di non essere capaci di arrestare il virus, anche se questa è una caratteristica di tutti i farmaci anti HIV-1. Di qui, la necessità di assumere più di un farmaco contemporaneamente per poter azzerare il livello di virus nel sangue circolante (solitamente si attua una terapia con tre farmaci antivirali).

Il Maraviroc, nello specifico, è in grado di ‘chiudere le porte all’Hiv’, impedendogli di fondersi con la membrana citoplasmatica (per questo è anche catalogato come ‘fusion inhibitor’) e di infettare i linfociti T CD4+, che rappresentano la principale cellula bersaglio dell’infezione. Il grosso limite di questo farmaco è che agisce solo su un tipo di ceppo virale, il CCR5. Pertanto, prima di utilizzarlo, è necessario stabilire da quale subtipo di virus è infettato il paziente. Inoltre, in corso d’infezione da HIV-1, il virus evolve e si modifica tantissimo e spesso gli stessi pazienti possono andare incontro a quella che è conosciuta come superinfezione, quando il ceppo virale CCR5 può affiancarsi o addirittura essere sostituito da un subtipo completamente diverso, il CXCR4. In tutte queste situazioni, il Maraviroc non è più efficace. La questione non è da sottovalutare perché la variabilità e le mutazioni dei vari ceppi di HIV-1 rappresentano un problema complesso e frequentissimo. E non solo nelle parti del mondo dove la malattia è ancora un’emergenza sanitaria reale come in Africa, ma anche negli Stati Uniti o l’Europa (in particolar modo Gran Bretagna, Svizzera e Francia secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) dove la diffusione dell’infezione è minore. Il Raltegravir, invece, agisce all’interno della cellula impedendo al virus Hiv, una volta entrato nella cellula parassitata, di integrarsi nel genoma (nucleo) per potersi replicare. Come per le terapie convenzionali, entrambi i nuovi farmaci danno numerosi effetti collaterali e lo stesso virus può sviluppare resistenze importanti sia al Maraviroc che al Raltegravir”.

La ricerca, quindi, non si deve fermare?
“Assolutamente no. La ricerca ha fatto passi da gigante, ma ancora non esiste una cura in grado di eradicare il virus Hiv dall’organismo. In altre parole, nessuno è mai guarito dall’Aids. I medicinali bloccano il virus e lo mantengono in una fase latente, ma ogni volta che si interrompe la terapia, il virus si risveglia. Anche saltare una singola somministrazione del farmaco può rendere il virus resistente alla terapia. Il recente fallimento di un grosso trial vaccinico mondiale eseguito da una notissima casa farmaceutica conferma che ancora tanto deve essere fatto per approfondire la nostra conoscenza sui meccanismi che permettono al virus HIV-1 di mettere in ginocchio il sistema immunitario. In particolare, è ancora sconosciuto il meccanismo con il quale il virus uccide i linfociti T CD4+ facendo crollare (sino alla quasi totale assenza) il numero circolante di queste preziosissime cellule che rappresentano il cardine sul quale normalmente si sviluppa la risposta immune nell’uomo. Con l’acquisizione di un quadro di immunodepressione cosi grave, anche un banale raffreddore può essere un problema di vita per le persone con Aids (proprio per questo, si chiama Sindrome da Immuno-deficienza Acquisita). La ricerca è indispensabile per cercare di capire questo meccanismo di partenza cosi come tanti altri aspetti importanti della fisiopatologia dell’infezione da HIV-1. Questa è la principale strada che ci farà fare passi in avanti nella cura e nell’eradicazione del virus”.

Sono ancora tanti i decessi causati dall’Aids?
“Cito le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2007: i casi stimati di persone infettate nel mondo sono 33.2 milioni con 2,5 milioni di nuove infezioni ogni anno e 2,1 milioni di morti. Solo l’Africa subsahariana rappresenta il 68% di casi del mondo e il 76% di morti. L’America il 12-14%, l’Asia il 10-14% (ma i dati probabilmente sono sottostimati se si considera che per nazioni come la Cina e l’India, che da sole hanno circa 2,5 miliardi di abitanti, i dati epidemiologici sono incompleti) e l’Europa 5-7%. In alcuni luoghi, insomma, l’Aids è ancora un’emergenza sanitaria. Nei paesi occidentali e in Australia i decessi per Aids sono relativamente pochi, ma questo non deve far assolutamente pensare che abbiamo sconfitto la malattia. Nei prossimi anni in Europa, e in generale nei paesi più industrializzati, si assisterà allo sviluppo di due grandi problemi relativi proprio alla terapia:

– il primo è che il virus, nei suoi processi di mutazioni, diventerà sempre più pericolosamente resistente a tutti i diversi farmaci attualmente in uso.
– Il secondo è costituito dalla tossicità della terapia, che ha gia mostrato gravi ripercussioni cardiovascolari con un’aumentata incidenza di infarti del miocardio e infarti cerebrali (ictus) dovuti ad un alterato metabolismo lipidico causato dalla terapia antiretrovirale.

A questo si deve aggiungere una grossa problematica sociale, che è rappresentata dal fatto che un paziente affetto da infezione HIV-1 deve assumere numerose pastiglie per tre volte al giorno sino a che non sarà disponibile una terapia alternativa o definitiva. Un aspetto certamente invalidante della qualità di vita. La prevenzione, insomma, rimane l’arma numero uno. Il preservativo è certamente il presidio migliore, soprattutto nei rapporti occasionali e/o promiscui. Attenzione allo scambio di siringhe e oggetti venuti a contatto con il sangue come gli strumenti per i tatuaggi, ma anche forbici o spazzolini da denti. L’Aids ad oggi non è stato sconfitto e non può essere considerato ancora solo un lontano ricordo”.

A cura di Lucrezia Zaccaria

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