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Farmaci e interventi per battere l’ernia discale

25/03/2002

Se il dolore alla parte lombare, cioè più bassa della schiena, non permette di svolgere le normali attività e il medico diagnostica un’ernia al disco, quali sono le terapie più efficaci per la cura di questo disturbo? Ecco la seconda parte dell’intervista agli specialisti di Humanitas dedicata alle terapie chirurgiche per il trattamento dell’ernia al disco.

L’intervento è rischioso?
L’intervento in sè non è più considerato pericoloso: le complicanze neurologiche di un tempo sono state superate grazie alle moderne tecniche. Adesso si usa il microscopio che permette di illuminare bene il campo operatorio e di amplificare l’immagine, consentendo un taglio molto piccolo e una demolizione dell’osso minima. Viene fatto in anestesia generale per garantire il rilassamento dei muscoli e il mantenimento di una posizione che per il paziente sarebbe molto scomoda. Solo in casi particolari, ad esempio se si tratta di persone anziane con problemi cardiologici, o per evitare reazioni anafilattiche (fenomeni di ipersensibilità molto gravi), si può fare anche in anestesia spinale.

I farmaci più indicati
I farmaci si usano solo come sintomatici. Normalmente si adoperano antidolorifici e cortisonici, questi ultimi allo scopo di eliminare l’infiammazione alla radice del nervo, che è la causa del dolore. Si usano anche medicine miorilassanti che contrastano la contrattura muscolare. Il medico è sempre cauto nel porre indicazioni per l’intervento: ci si deve arrivare solo dopo attentissime valutazioni. Non va mai fatto in urgenza se non in quei rarissimi casi in cui il paziente abbia evidenti deficit neurologici che tendono ad aggravarsi. Capita di frequente che persone operate di fretta, già dopo un tempo relativamente breve abbiano problemi di instabilità, di recidive, di aderenze. Oltre all’intervento tradizionale, ci sono tecniche di tipo mini-invasivo, quali la nucleoaspirazione e la chemonucleolisi, che però, studi su grandi numeri di pazienti, hanno dimostrato avere indicazioni limitate alle ernie mediane, cioè quelle centrali. Un’altra tecnica miniinvasiva, di recente introduzione, prevede l’inserimento, nella zona del disco, di una miscela di ozono e ossigeno. È una tecnica che si può eseguire iniettando la miscela, in anestesia locale, direttamente nel disco, oppure tramite infiltrazioni dei muscoli vicini alla colonna e alle faccette articolari. Gli effetti sono diversi: sicuramente l’iniezione nel disco è più efficace. La miscela fa bene perché libera radicali liberi che riducono il nucleo polposo del disco che è quello che spinge e provoca il dolore. Di ancor più recente introduzione nella pratica clinica è la nucleoplastica, in cui si effettua, col calore, la disidratazione del nucleo estruso e si ottiene una diminuzione dell’ernia senza dover togliere tutto il disco.
Infine bisogna tenere presente il sempre maggiore ricorso ad interventi chirurgici necessari a correggere la situazione di instabilità creata da un intervento pregresso. Quindici o venti anni fa si utilizzavano tecniche più aggressive che determinavano la demolizione di grandi frazioni ossee, causa di instabilità. Gli interventi di stabilizzazione consentono di correggere questo problema che determina dolori cosiddetti “posturali”, cioè intensificati dalle variazioni della posizione della colonna o dalla prolungata stazione eretta. In questi casi si utilizzano viti e barre di titanio, oppure, in quei casi in cui il disco non si sia riespanso per bene, si impiantano protesi allo scopo di distanziare le vertebre.

E dopo l’intervento?
Il periodo che segue l’operazione è molto importante. Tecnicamente l’intervento non è complicato, ma perché vada a buon fine, soprattutto nel lungo periodo, è necessario seguire regole ben precise. Prima fra tutte il periodo di convalescenza, che va osservato almeno per un mese, seguito da una fase di fisioterapia. Quando viene tolto un disco la colonna non diventa più corta, perché la struttura si riforma spontaneamente, nel giro di tre quattro mesi, grazie alla riproduzione dei costituenti discali da parte delle cellule del piatto vertebrale. La convalescenza è molto importante: ha lo scopo di permettere al disco di riformarsi e serve a ricostruire un sostegno strutturale e muscolare per la colonna vertebrale. Negli anziani questo avviene un po’ più lentamente, ma è anche più difficile che sopra i sessantacinque – settanta anni si formi un’ernia perché i dischi, per questioni degenerative, si disidratano e si riducono di spessore e più difficilmente il loro nucleo protrude.

Come si previene l’ernia discale?
La prevenzione, l’unica possibile, riguarda il mantenimento di un tono muscolare che garantisca alla colonna un sostegno adeguato. A tale scopo si devono fare degli esercizi, che sono poi quelli prescritti a chi è stato operato, che non comportino un carico per la schiena, ma permettano il rafforzamento di addominali e paravertebrali, i muscoli che, posteriormente e anteriormente, sostengono la zona lombare. Il nuoto viene considerato il sussidio migliore per questo tipo di problemi perché viene fatto in scarico e impegna in maniera simmetrica tutta la muscolatura. Ci sono poi attività che servono a rafforzare alcune parti in modo mirato: è il caso, per esempio, della ciclette che rafforza i quadricipiti femorali, cioè i muscoli anteriori della coscia. Invece, quegli sport che, come il tennis, il golf, il motocross, la pallavolo, il sollevamento pesi o altri, sollecitano in modo asimmetrico la colonna vertebrale, sono controindicati. La palestra può essere utile per programmi mirati al rafforzamento degli addominali e che prevedano molto streching. La scoliosi, assieme a situazioni congenite quali la schisi dell’arco della prima vertebra sacrale, è una condizione predisponente perché porta ad un invecchiamento precoce della struttura della colonna. Chi soffre di questi disturbi dovrebbe fare nuoto e fisioterapia, come prevenzione muscolare, seguendo i programmi indicati dal fisiatra. Bisogna ricordare che fare fisioterapia durante una fase acuta peggiora la situazione, perché non fa altro che aumentare l’infiammazione. Ha senso, invece , farla a scopo preventivo.

A cura di Giorgia Diana

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