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Prevenzione

Come si “traducono” gli esami del sangue

24/11/2009

Chiunque abbia avuto davanti i risultati dei test diagnostici ha provato a capirne il valore e il significato. Occorre sempre fare il percorso giusto.

Strumento diagnostico indispensabile e prezioso, gli esami clinici spesso diventano un cruccio per il paziente che, dizionario o mouse alla mano, cerca di leggerli in autonomia. Ma l’aiuto del medico è imprescindibile prima e dopo l’arrivo dei risultati. È, inoltre, il modo migliore per capirne il valore senza superficiale ottimismo o eccessivo allarmismo. Come spiega il dott. Alessandro Montanelli, responsabile del Laboratorio di analisi di Humanitas.

Dott. Montanelli, come si “traducono” gli esami clinici?
“Per prima cosa occorre prendere in considerazione il motivo per cui sono stati prescritti. L’interpretazione degli esami clinici infatti dipende dalla finalità, dal quesito diagnostico formulato dal medico di base. È alla luce di questa premessa che si leggono i valori, non è infatti sufficiente controllare che le cifre dei risultati siano o no all’interno del range prestabilito per ogni elemento analizzato.
In quest’ottica, e in generale, si può affermare che uno o due valori ‘sballati’ non significano necessariamente problemi gravi e allo stesso modo valori perfetti non vogliono per forza dire che sia tutto a posto. Va infatti considerato il quadro clinico del paziente, nel cui contesto devono essere inseriti gli esami del sangue. Il fine delle analisi è la diagnosi e poi la cura e non avere valori impeccabili”.

Quindi non è sufficiente una lettura fatta “in casa” dal paziente.
“Certamente no, anche se ormai ci sentiamo tutti in grado di leggere gli esami per conto nostro, grazie a una semplice ricerca su Internet. In realtà è necessaria la valutazione di un medico che, appunto, non si limita a leggere i valori, ma li inserisce in un percorso diagnostico, assegnando ai risultati il giusto peso. Oggi la strumentazione dei laboratori ci permette di ‘tarare’ i range numerici in modo mirato e questo ci aiuta a considerare il singolo come termine di riferimento di se stesso. È infatti utile ricorrere alla tracciabilità, disporre di una storia clinica della persona, con tutti i dati del passato. Le valutazioni sulla base degli esami precedenti, e delle eventuali variazioni, devono anch’esse essere fatte in modo appropriato per ogni paziente e per ogni esame. Per questo la competenza del medico è ancora più indispensabile”.

Se gli esami sono specialistici, serve un’accortezza maggiore?
“Nel caso, ad esempio, dell’Hiv oppure di patologie genetiche il paziente firma anche un consenso informato prima di sottoporsi all’esame. In questo modo conosce le implicazioni degli eventuali risultati prima di leggerli. Al momento dell’interpretazione può inoltre ricevere una consulenza specialistica post test. I colloqui con il medico prima e dopo sono fondamentali per dare la giusta importanza ai valori del sangue. Il paziente non può essere lasciato solo in queste particolari situazioni. Anche se si tratta di un normale check-up, consiglio di aprire sempre la busta con i risultati nello studio del proprio medico, senza scatenarsi in ricerche fai-da-te. Non solo perché si rischia di arrivare a conclusioni sbagliate, ma soprattutto perché essere obiettivi su se stessi è molto difficile”.

A cura della Redazione

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