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Prevenzione

Cuore, fattori di rischio e scompenso cardiaco

11/11/2003

Appuntamento scientifico di prestigio il 14 e 15 novembre in Humanitas. Due giorni dedicati al trattamento delle malattie cardiovascolari con particolare attenzione ai fattori di rischio dello scompenso cardiaco. Ne corso del congresso From Risk Factors to Heart Failure promosso dal Dipartimento Cardiologico e giunto alla quarta edizione, specialisti da tutto il mondo si confronteranno sui risultati di recenti studi che confermerebbero decisamente la necessità di un intervento farmacologico precoce nella popolazione a rischio di sviluppare una patologia cardiovascolare. Il Simposio sarà aperto dal Professor Nicola Dioguardi, Direttore Scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas, seguiranno gli interventi dei relatori.

“Negli ultimi 20 anni – spiega il dott. Edoardo Gronda, cardiologo e tra gli organizzatori del congresso – il trattamento delle malattie cardiovascolari ha fatto notevoli progressi. Tuttavia questa malattia rimane la principale causa di decesso e morbilità nella società occidentale. L’esito costantemente incerto della lotta alle malattie cardiovascolari è dovuto principalmente ai molteplici fattori di rischio coinvolti nella loro genesi e progressione.
Alcuni prestigiosi studi controllati pubblicati di recente trattano del ruolo chiave dell’inibizione dell’angiotensina II in pazienti con fattori di rischio cardiovascolare, mostrando una riduzione significativa dell’incidenza di eventi avversi nei pazienti trattati.
I dati emersi da questi studi confermano decisamente la necessità di un intervento farmacologico precoce nella popolazione a rischio e sottolineano che il danno renale glomerulare evidenziato dalla microalbuminuria è il fattore predittivo più eclatante dell’insufficienza cardiaca.
La genesi multifattoriale dell’insufficienza cardiaca rimane ancora la sfida non risolta nel campo delle malattie cardiovascolari: la maggior parte dei pazienti è asintomatica o presenta una sintomatomatologia lieve al momento dell’insorgenza e nelle prime fasi della disfunzione ventricolare sinistra cosicchè spesso la patologia non è diagnosticata, proprio quando la terapia medica potrebbe dare i massimi benefici. Questo aspetto è in controtendenza rispetto ai progressi terapeutici degli ultimi 20 anni poiché il tasso annuo di mortalità nella popolazione con insufficienza cardiaca in generale è sceso dal 34% degli anni ’80 all’attuale 10% annuo.
La missione del cardiologo oggi è quella della diagnosi precoce e del trattamento dei fattori di rischio cardiovascolare, oltre che il trattamento corretto delle disfunzioni di pompa, sia sintomatiche che asintomatiche, per poter eliminare tutte le cause possibili e trattare tutti gli aspetti correlati alla progressione della malattia. In questo campo, la terapia interventistica e la cardiochirurgia hanno un ruolo sempre maggiore nell’aprire nuove finestre al trattamento, ma allo stesso tempo pesano sulla valutazione costo/benefici”.

In occasione della Giornata Mondiale per il Cuore di fine settembre, è emerso il ruolo chiave dello stile di vita sano per ridurre il pericolo di sviluppare in seguito una patologia cardiovascolare. Ma che per le persone particolarmente a rischio di infarto, ictus, aneurisma dell’aorta e malattia cardiovascolare periferica modificare semplicemente le proprie abitudini giornaliere potrebbe non bastare. Le ultime indicazioni internazionali sollecitano in questi casi il ricorso anche a cure preventive con i farmaci che permetterebbero di ottenere ottimi risultati, arrivando addirittura a ridurre del 30-40% anche per loro il rischio per le malattie cardiovascolari.

“Il rischio cardiovascolare – aggiunge il dott. Gronda – è dovuto ad una predisposizione genetica di tipo familiare, ma in larga parte deriva da comportamenti e stili di vita dannosi. Per individuare chi corre maggiori pericoli bisogna quindi basarsi sull’anamnesi (la presenza di episodi cardiovascolari nella persona stessa o in famiglia fa salire il rischio) e sui segnali precoci di alterazioni metaboliche o della pressione. La presenza di grasso sulle palpebre nei giovani o un’ipertensione labile che si presenta cioè solo in alcune ore della giornata, per esempio, possono esserne una prima evidenza”.

Durante il Simposio, si parlerà anche di sindrome metabolica, una condizione sempre più diffusa, che associa alcuni fattori di rischio cardiovascolare: sovrappeso/obesità, eccesso di colesterolo nel sangue, intolleranza al glucosio (indice che l’insulina non funziona bene anche se non si soffre ancora di una vera e propria forma di diabete) e pressione alta. “L’associazione di più fattori di rischio non si limita a sommare il pericolo cardiovascolare – spiega Edoardo Gronda –, ma lo moltiplica. Questo significa che chi soffre della sindrome metabolica è un candidato ideale alle cure preventive farmacologiche. Se a questo si aggiungono poi il fumo e la sedentarietà che possono aggravare i problemi metabolici e facilitare la comparsa di eventi acuti (come l’infarto), si capisce come una prevenzione mirata sia molto importante”.

Un obiettivo del congresso è offrire una panoramica aggiornata in particolare sugli studi internazionali che confermerebbero la funzionalità di alcuni farmaci nel ridurre sensibilmente, se usati in modo tempestivo e in dosi appropriate, l’impatto delle malattie cardiovascolari. Lo studio EUROPA, ad esempio, ha recentemente dimostrato che la somministrazione di ACE-inibitori, farmaci di solito prescritti per la pressione alta, riduce il rischio di eventi cardiovascolari anche nelle persone a basso rischio. E lo studio HEART PREVENTION ATTACK ha dimostrato come le statine proteggano la parete dei vasi sanguigni anche in chi non ha il colesterolo alto, ma presenta altri significativi fattori di rischio. Inoltre lo studio ha evidenziato come sempre le statine riducano gli eventi cardiovascolari anche tra i soggetti diabetici ad alto rischio. Infine lo studio ha chiarito che questo tipo di prevenzione è utile anche in situazioni particolari, ad esempio nelle donne o in chi soffre di una forma iniziale di diabete. Lo studio PROSPER condotto con un’altra statina ha dimostrato l’efficacia e la sicurezza della prevenzione anche nei soggetti anziani con età maggiore di 75 anni.

Inoltre, per la cura di questa sindrome, al trattamento farmacologico e al trapianto cardiaco si sono recentemente affiancati innovativi interventi cardiochirurgici avanzati che prevedono, ad esempio, l’applicazione di un ventricolo artificiale quando il cuore non è più in grado di svolgere la sua funzione di pompa, neppure con un trattamento farmacologoco massimale. Questo intervento può essere eseguito in attesa di un trapianto di cuore, come soluzione definitiva in quei malati in cui non è possibile fare un trapianto (ad esempio perché troppo anziani) o per permettere al cuore di “riposare” e di migliorare le sue condizioni.

Su questo fronte, la novità che sarà presentata durante il congresso è rappresentata dai nuovi ventricoli artificiali di piccole dimensioni. Pesano circa mezzo chilo, vengono impiantati sopra il diaframma e vanno bene indipendentemente dalle dimensioni corporee. Possono però essere utilizzati solo nei casi in cui il ventricolo sinistro abbia ancora una certa capacità di contrarsi. E proprio in questi casi l’applicazione del nuovo ventricolo, mettendo a riposo il cuore, può permetterne il recupero a distanza di qualche tempo, come stanno verificando diverse sperimentazioni.

A cura di Marco Renato Menga
11/11/2003

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