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Prevenzione

Prostata: prevenzione, non ossessione

01/02/2005

Il tumore della prostata – una ghiandola posta sotto la vescica – è tra le neoplasie più diffuse, colpisce prevalentemente gli uomini nella sesta decade di vita, quindi tra i 50 e i 60 anni d’età, e nel nostro Paese colpisce ogni anno circa 11 mila persone.
Uno dei principali marker per questo tumore è il PSA, prodotto dalla prostata e misurabile con un esame del sangue.Quando si trovano concentrazioni di PSA sopra i 4 nanogrammi per millilitro, scatta l’allarme. Ma è sempre davvero allarme? E come comportarsi? Lo abbiamo chiesto al prof. Pierpaolo Graziotti , responsabile dell’Unità Operativa di Urologia di Humanitas.
“Molte condizioni – spiega – al di fuori di un cancro, possono alzare il livello sanguigno del PSA: l’aumento di volume della ghiandola dovuto all’invecchiamento, processi infiammatori della ghiandola (prostatite), infezioni delle vie urinarie. Motivo per cui due uomini su tre con PSA elevato non necessariamente sono affetti da carcinoma prostatico”.

PSA e PSA free
Il PSA si trova in circolo sia in forma libera, PSA free, sia in forma complessa (legato ad altre molecole). “Nonostante l’elevata sensibilità – prosegue il prof. Graziotti -, il suo impiego in fase di diagnosi è limitato da una ridotta specificità (elevato numero di falsi positivi).
I livelli di PSA libero possono elevarsi in soggetti con patologia prostatica benigna, mentre accade meno, se messo in rapporto al PSA totale, in casi di carcinoma prostatico. Pertanto il rapporto PSA free/PSA totale è stato introdotto nella diagnostica del carcinoma prostatico quando i valori del PSA libero non sono particolarmente elevati.
Nel range di valori tra 4 e 10 ng/ml, considerato zona grigia, la probabilità di riscontrare un carcinoma alla biopsia è inferiore rispetto a valori di PSA totale superiori a 10 ng/ml.
Il PSA è un indicatore fondamentale nel monitoraggio del paziente che ha ricevuto una diagnosi di carcinoma prostatico e nel seguirne la risposta dopo la terapia”.

L’efficacia del test e l’importanza dell’età
Negli ultimi anni si è assistito alla promozione di campagne informative e programmi di screening per uomini over 50 che, nel caso del tumore della prostata, si sono riversati sulla disponibilità del test del PSA, semplice e relativamente poco costoso.
“In realtà – precisa Graziotti – oggi non esistono ancora prove scientifiche che l’indagine con il PSA sia efficace in quello che da uno screening ci si aspetta, ossia la riduzione della mortalità per questa malattia, ottenuta in virtù dell’individuazione precoce e del conseguente accesso in tempi utili alle cure. Ecco perché, in sede scientifica, il ricorso all’esame del PSA è al quanto combattuto e controverso. Una parte dei pazienti, infatti, presenta tumori con caratteristiche di bassa aggressività e potrebbe perciò ricevere un trattamento non necessario.
In genere, il 90 percento dei pazienti che si sottopone all’esame è asintomatico, soprattutto nelle fasi iniziali. Sottoporre un paziente di 75 anni, asintomatico, al dosaggio di questo marker significa creargli degli stress psicologici che a questa età cambiano la sua qualità di vita inutilmente. A maggior ragione se il paziente è un ottuagenario asintomatico: le probabilità di morte per causa naturale equivalgono a quel punto dell’esistenza a quelle per neoplasia prostatica. Nel caso risultasse un PSA mosso vorrebbe dire indagare con biopsie, diagnosticare neoplasie e, conseguentemente, prescrivere terapie per lesioni che in nessun caso metterebbero a repentaglio la vita di soggetti anziani con una aspettativa di vita presunta di meno 10 anni. La diagnosi precoce, insomma, in questo caso non ha senso e fa della prevenzione una vera ossessione. Ha senso, invece, in caso di pazienti giovani con una lunga aspettativa di vita, perché aiuta a scoprire anche le più piccole neoplasie.
Tutto ciò non significa che il test del PSA è inutile. Significa solo che va usato con cautela, in casi selezionati. Parallelamente, bisogna cercare di evitare trattamenti, come la prostatectomia radicale, quando non siano adeguati al paziente. A tal proposito, il medico deve sempre tenere presente il valore che il paziente stesso dà alla sua qualità di vita concetto estremamente variabile e dipendente solamente da parametri personali”.

Di Monica Florianello

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