Velaterapia, la salute col vento in poppa

Siete stressati? La barca a vela vi può aiutare. Secondo la Società Italiana di Psicologia, infatti, mare e vento combattono lo stress, la depressione e le ansie legate alla vita di tutti i giorni al punto che andare in barca è diventata una vera e propria cura chiamata ‘velaterapia’. Si mettono infatti in atto dinamiche particolari perché si è “costretti”, in un certo senso, a muoversi in uno stesso ambiente e uno spazio ristretto e a collaborare dando ascolto ad un leader. E non esistono fannulloni, come recita un famoso presupposto velista. La velaterapia nasce da una esperienza svedese conclusasi con sorprendente successo legata a un progetto di recupero di ragazzi considerati difficili e socialmente non inseriti. E ultimamente si sente sempre di più parlare di velaterapia in progetti aziendali legati al cosiddetto “team building”, cioè progetti utili per migliorare le dinamiche aziendali all’interno dei gruppi. Ma funziona davvero? Quali sono i suoi punti di forza? Abbiamo approfondito l’argomento con la dott.ssa Emanuela Mencaglia, psicologa di Humanitas.

Dott.ssa Mencaglia, che cos’è la velaterapia e quali sono i suoi benefici?
“Da circa trent’anni in Europa si pensa alla vela non solo come un’attività di svago e divertimento, ma anche come un supporto terapeutico, da inserire in progetti riabilitativi con spunti socializzanti, in gruppi di persone con diversi bisogni che vanno dalla riabilitazione fisica a quella psichica e sociale. A questo si aggiunge l’inserimento dell’esperienza velica anche nei gruppi di lavoro, in quello che viene chiamato team-building. In Italia la velaterapia risale ad una quindicina di anni fa e ad oggi sempre più associazioni veliche la propongono tra le loro iniziative. Perché funziona? Su di una barca a vela le dinamiche di gruppo si amplificano, si ricrea una società in miniatura che ripropone le relazioni quotidiane con la massima intensità. L’avventura evocata dall’andar per mare si mescola alla responsabilità di ogni membro dell’equipaggio verso l’altro, al mettere in sicurezza se stessi e gli altri, a restare nel proprio ruolo e rispettare i ruoli altrui, allo stare a regole precise e sottostare agli ordini di un ‘comandante’. Nello specifico in questo caso nell’equipaggio è presente anche uno psicoterapeuta che inserisce, in un setting inusuale, la sua competenza professionale”.

È adatta a tutti? Quando è particolarmente efficace?
“Questa è un’esperienza che porta ad un consolidamento del sé e ad un miglioramento della propria consapevolezza corporea. Proprio per questo il metodo viene utilizzato in gruppi di ragazzi spesso definiti ‘difficili’ o su pazienti psichiatrici. Per le sue implicazioni fisiche è anche utilizzata per persone con varie disabilità organiche. Non diversa è l’implicazione della velaterapia nell’organizzazione aziendale, in cui trova il suo inserimento nell’ambito formativo: su di una barca a vela tutti hanno un ruolo e delle competenze, tutti hanno un obiettivo comune, vigono delle regole, è presente un leader, la comunicazione è diretta, le decisioni devono essere veloci e condivise dall’equipaggio, che deve muoversi in sintonia con la barca e con il suo comandante. Qui i conflitti diventano aperti e privi di spazio per una decantazione e hanno, invece, la necessità di un chiarimento e di una soluzione immediata”.

Quando, invece, non funziona?
“Credo sia implicito che per tutti quelli che amano il mare, decidere di andare a vela sia la ‘scelta’ per definizione, ma questa sensazione, nel suo genere unica, potrebbe diventare un incubo per chi soffre di ‘mal di mare’ o per chi viene intimorito dalla vastità dello specchio d’acqua sottostante la barca o dalla forza con cui naturalmente si muovono vento ed acqua”.

A cura di Lucrezia Zaccaria

Redazione Humanitas Salute: