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Alimentazione

Un trattamento integrato per combattere l’obesità

10/02/2006

Da sola, la terapia farmacologica non basta per curare l’obesità. Lo sanno bene coloro che lavorano ogni giorno per far fronte alla malattia, e ora lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine, nel quale gli esperti dell’Università della Pennsylvania hanno seguito per un anno un gruppo di più di 200 obesi che erano stati suddivisi in due gruppi: il primo trattato solo con la sibutramina, uno dei farmaci più usati per aiutare gli obesi a mangiare meno, il secondo con lo stesso farmaco più una terapia psicologica e comportamentale, mirata ad aiutare i malati a superare i problemi psicologici legati all’obesità e a imparare a nutrirsi in modo più sano e razionale. Alla fine la strategia integrata è risultata vincente, e ha assicurato la perdita di 12 chili, contro i 5 persi con la sola cura farmacologica.
“Questi dati confermano quello che abbiamo occasione di riscontrare tutti i giorni”, commenta il dottor Alessandro Giovanelli, coordinatore del team multidisciplinare per il trattamento dell’obesità dell’Ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo, che spiega che cosa succede quando un malato si presenta al suo centro: “Innanzitutto ci assicuriamo che alla base dell’obesità non ci siano problemi organici, per la verità molto rari e presenti solo nel 5% dei casi, e che l’obeso non soffra di disturbi del comportamento alimentare come la bulimia, che rendono vani i tentativi terapeutici non psichiatrici.
Se non ci sono malattie specifiche procediamo con un’accurata descrizione antropometrica, cioè con la misurazione, oltre che del peso e dell’altezza, della distribuzione del grasso e di tutta una serie di parametri importanti per orientare le decisioni successive. Quindi cerchiamo di conoscere la persona che abbiamo davanti, le sue abitudini, le sue frustrazioni, quello che fatto fino a quel momento per tentare di dimagrire e così via, aiutandoci anche con un diario che chiediamo di compilare e che dimostra all’obeso, spesso inconsapevole, quante calorie introduca ogni giorno e quanti errori alimentari riesca a sommare nell’arco della giornata. Quindi impostiamo una nuova strategia che può prevedere o meno la chirurgia, anche a seconda dei tentativi di altro tipo (per esempio farmacologici) fatti fino a quel momento e degli eventuali fallimenti”.
In questo percorso, precisa Giovanelli, entrano in gioco molti professionisti, tutti importanti: dall’internista allo psicologo, dal fisiatra al fisioterapista, dal chirurgo al dietologo. E da subito inizia il supporto psicologico e riabilitativo, che agisce su più fronti. Da una parte infatti, bisogna insegnare all’obeso a mangiare meglio e in modo adatto alla sua condizione: ad esempio, se si sottopone a una cura farmacologica o chirurgica che punta a ridurre l’assorbimento delle sostanze nutritive dovrà assumere più vitamine, proteine e sali minerali, mentre se ha avuto un bendaggio gastrico, che riduce la capienza dello stomaco, dovrà abituarsi a mangiare molto meno di prima. Dall’altra parte l’obeso dovrà accettare di aumentare la propria attività fisica, spesso trascurata anche a causa delle oggettive difficoltà di movimento. In terzo luogo dovrà fare i conti con il nuovo “se stesso”, un aspetto sul quale l’esperto di Gavazzeni insiste molto: “Una persona che ha passato magari 10 o 20 anni pesando 180 chili e che ne perde in pochi mesi la metà può non riconoscersi, avere difficoltà nei rapporti con il prossimo, subire un trauma. Per questo è necessario un aiuto psicologico e, quando è il caso, l’intervento di un chirurgo plastico, che limiti le conseguenze della perdita di peso sui tessuti. Tra l’altro non molti lo sanno, ma questo aspetto è considerato parte integrante della cura ed è inserito negli interventi rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale”.
E non è tutto: l’obeso, anche quando diventa ex, va seguito anche per anni, perché può avere momenti di debolezza, difficoltà organiche e psicologiche, e perché la stabilizzazione di uno stile di vita sano richiede non meno di tre anni. “Il successo della cura – conclude Giovanelli – dipende dal follow-up, cioè da quello che viene fatto dopo la fase curativa vera e propria: a volte basta anche solo una telefonata per rassicurare l’ex obeso e aiutarlo a non ricadere nelle vecchie abitudini. Del resto è lui stesso che tende a non troncare mai il rapporto iniziato in ambulatorio, ed è fondamentale che trovi sempre una persona disposta ad ascoltarlo, anche quando non fa più parte, almeno ufficialmente, della categoria dei malati”.

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