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Alimentazione

Perché i bambini sono a rischio obesità

16/12/2002

Se fino a qualche tempo fa un bambino “cicciottello” era considerato il ritratto della salute, oggi le conoscenze mediche e la sensibilità dell’opinione pubblica sono cambiate: tra un bambino “in carne” e uno obeso il passaggio è spesso breve. Lo dimostra il fatto che nei Paesi industrializzati il numero dei bambini in sovrappeso è raddoppiato negli ultimi 20 anni e in Italia un bambino su cinque è obeso, con una tendenza al rialzo che preoccupa i pediatri. Le cause? Sicuramente lo stile di vita scorretto: un’alimentazione ricca di grassi e poco movimento. Ma l’obesità non è solo un problema estetico, porta con sé grosse complicanze per la salute e per l’aspetto psicologico, fondamentale nell’età della crescita dei più piccoli. Ne parliamo con Agnese Rossi, psicologa di Humanitas Gavazzeni a Bergamo che lavora nel team multidisciplinare che segue gli obesi, composto da un chirurgo, da una diestista, un fisiatra e una fisioterapista.

Perché oggi sono tanti i bambini obesi?
Ogni volta che si tocca l’argomento “obesità” non dobbiamo dimenticare la complessità di questo problema, in cui si intrecciano aspetti genetici, alimentari e psicologici. Spesso deriva da abitudini alimentari scorrette apprese in famiglia. Molti sono abituati fin da piccolissimi a mangiare in ogni momento della giornata merendine confezionate, con elevati contenuti di zuccheri e grassi. Talvolta la frutta e la verdura non sono presenti nei loro pasti quotidiani e spesso mangiano ad orari irregolari. Lo stile di vita attuale è radicalmente cambiato: i giochi dei bambini sono sempre meno all’aria aperta e la TV, i videogiochi e il computer occupano gran parte del loro tempo. Non corrono più ore e ore nei cortili come si faceva un po’ di tempo fa, magari dimenticandosi della merenda, ma sono più sedentari. L’obesità può essere anche la spia di disagi psicologici più profondi, come difficoltà scolastiche, rapporti difficoltosi in famiglia e con i compagni oppure può essere la conseguenza di un fatto traumatico come un lutto, persino un trasloco, la nascita di un fratellino. In questi casi il cibo assume significati simbolici complessi.

Quali possono essere per un bambino le valenze simboliche del cibo?
Il cibo oggi è a disposizione sempre e ovunque. Come gli adulti, anche i bambini possono cercare nell’alimentazione la soluzione apparente di ogni minimo problema emotivo. Un compito in classe, una lite con il migliore amico, una delusione a scuola possono essere preoccupazioni che si “compensano” mangiando. Così il bambino si abitua a respingere il problema piuttosto che affrontarlo cercando una soluzione o chiedendo aiuto agli adulti. Il cibo diventa una gratificazione sostitutiva e immediata, con il rischio di non riuscire a riconoscere e ad esprimere le proprie emozioni, ma imparare ad “ingoiarle” insieme al cibo. Spesso è possibile che un alimento diventi un oggetto di confronto per farsi accettare dal gruppo. Una merendina alla moda e molto pubblicizzata può diventare un mezzo per essere riconosciuti dai compagni. Anche i fast-food sono una moda del momento e un’occasione di aggregazione.

Il cibo può assumere il ruolo di “premio o punizione”?
Se gli adulti rispondono a qualsiasi richiesta del bimbo con il cibo, l’alimentazione diventa un premio che i genitori utilizzano per far rispettare regole di comportamento o per gratificarlo per un risultato raggiunto: “Se fai il bravo ti do le caramelle!”. E’ inevitabile a questo punto che determinati alimenti siano qualcosa di più di un semplice cibo, ma assumano un valore affettivo. Talvolta il problema parte dai genitori: se si sentono in colpa per avere poco tempo da trascorrere con i propri figli a causa degli innumerevoli impegni di lavoro, spesso cercano di compensare questa carenza rimpinzandoli di dolci o permettendo loro di mangiare ogni cosa in ogni momento.
Il cibo può diventare anche un modo per autopunirsi perché ci si sente a disagio nel proprio corpo grasso e lontano dai modelli estetici proposti dalla TV. In questo caso l’aggressività non viene esteriorizzata, ma è rivolta verso di sé e il cibo non è più un piacere da gustare, ma una punizione da ingurgitare.

Quali possono essere le sue reazioni psicologiche?
Sono notevoli le difficoltà con cui si scontra un bambino in sovrappeso nella nostra società. Con i compagni e in luoghi di aggregazione è facile che si senta escluso ed emarginato perché impacciato nei movimenti e goffo: insomma “diverso”. Il bambino può reagire imponendo a se stesso atteggiamenti forzati per farsi accettare, per rendersi più simpatico e interessante. Può ironizzare sul suo peso, prendendosi in giro prima che lo facciano gli altri, oppure immedesimarsi nel ruolo del “forte” tra i coetanei per la sua potenza fisica. Il rischio più pericoloso è di percepirsi un bambino “che non vale nulla”, con la tendenza ad isolarsi dagli altri, vergognandosi e sentendosi colpevole di essere così grasso. L’immagine corporea e la stima di sé ne risentono in negativo e possono portarlo a chiudersi in un mondo tutto suo, senza finestre sulla realtà, in compagnia di giochi sedentari o addirittura mangiando ancora di più.

Come si può intervenire?
Innanzi tutto non si devono imporre diete rigide per evitare di innescare un rapporto patologico con il cibo. Bisogna evitare di ossessionarli riguardo al peso, trasmettendo loro la paura di ingrassare, diffusa spesso tra gli adulti. I bambini sentono di frequente parlare di cibi light, di diete “tutto e subito”, di chili superflui e questi discorsi lasciano un segno nel loro modo di pensare al cibo. I disturbi del comportamento alimentare si stanno diffondendo in età sempre più precoci: non è raro sentire bambine che toccano questi argomenti perfino nelle scuole elementari!
E poi rendere piacevole il momento dei pasti, tranquillo e non frenetico, in cui si possa apprezzare il gusto del cibo, a volte sottovalutato per la fretta di ingoiare.
E’ fondamentale educare ad uno stile alimentare corretto, vario e sano, che coinvolga tutta la famiglia: i bambini imparano osservando. E’ una vera e propria “educazione alimentare” che dovrebbe essere presente anche nelle scuole.

Educazione alimentare per tutti?
Si, a partire dall’educazione degli adulti. Questo significa per prima cosa che il bambino paffutello non è l’immagine della salute come si credeva tempo fa, ma al contrario il bambino obeso ha molte probabilità di diventare un adulto obeso. Per prevenire l’obesità quindi è importante “educare al gusto”.

Cosa si intende per “educazione al gusto”?
Coinvolgere i bambini nella preparazione dei pasti: fare la spesa scegliendo prodotti non preconfezionati come verdura, carne e formaggi, e decidere insieme come prepararli. Questo permette al bambino di manipolare gli alimenti nei diversi momenti di preparazione (sbucciare, tagliare, pulire, impastare…), di annusarli, di osservare i colori che a volte cambiano durante la cottura. Si stimolano così tutti i sensi, per esplorare il cibo da più punti di vista, divertendosi. L’obiettivo è di ampliare le conoscenze e i gusti del bambino, che spesso vuole sempre gli stessi alimenti, e di scoprire nuovi modi di mangiare e di instaurare un rapporto piacevole con il cibo.

A cura di Francesca Di Fronzo

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