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Alimentazione

Ripieno, che passione!

03/06/2003

Nell’interessante libro di Giovanni Rebora La civiltà della forchetta, edito da Laterza, un capitolo è dedicato alle paste ripiene. Bandito dalla dieta, il pasticcio di pasta, carne o verdura potrebbe ritornare sulle nostre tavole. I ravioli, per esempio, dal XIII secolo sono un piatto noto per il ripieno di carne, e il loro nome varia da luogo a luogo.
I prodotti confezionati oggi in commercio hanno abituato il nostro occhio a spaziare in una scelta ampia, ma il buongustaio sa che non c’è nulla di meglio che preparare un ripieno in casa, vederlo nascere sulla madia, assaporando i profumi dei diversi ingredienti che si mescolano armoniosamente o con contrasti voluti.

Anticamente carne e lardo erano un connubio scontato assieme alle spezie che, nella cucina dei secoli passati, avevano il compito di preservare oltre che di insaporire i cibi. E non certo, come vogliono i luoghi comuni, per coprire il sapore rancido della carne andata a male.
Bolliti o fritti, i ravioli, o tortelli, o pancotti, o gobbi come si vogliano chiamare sono gli antenati di torte e paste ripiene che oggi si propongono in versioni light, con assenza o quasi di grasso e condimento.

Nel Medioevo, un’epoca in cui la fame era un problema quotidiano, il palato cercava gusti forti, che appagassero e dessero il senso della sazietà. Carne e verdure, formaggi e salsicce, l’abbinamento di formaggi bianchi con anatra in agrodolce, il gusto raffinato dei funghi creavano un’atmosfera di festa, il momento di riposo dalla fatica, una parentesi di serenità. I cibi elaborati fanno la loro comparsa delle diverse città, con nomi differenti: dal libro di Rebora veniamo a sapere che gli statuti dei fornai di Genova nominano le “altoscreas”, termine greco che significa pane e carne, mentre in terra siciliana troviamo abbondante uso del pesce.

Le “cose ripiene” sono strettamente legate alle condizioni del luogo, agli scambi ma sembra che l’inventiva abbia giocato un ruolo non da poco per la sopravvivenza; la nostra pizza ha un antenato in questi “pasticci” con varianti sino a Marsiglia. Tra le prelibatezze, e questo è importante, si distinguono alcuni piatti per i giorni di magro, quando si rispetta il divieto ecclesiastico di mangiare carne il venerdì di Quaresima; verdure, formaggio e uova sono poi soggetti a sbalzi, secondo la stagione.
Bisogna tenere conto anche della difficoltà dei trasporti dell’epoca, della resa secondo la stagione, quando i raccolti con una resa modesta, carestie e inondazioni erano un rischio incombente.

Siamo alla definizione di piatto unico, che oggi viene, da molti, privilegiato; l’abbinamento di pasta e verdura, o pesce e carne ritorna anche nei menù degli chef con soluzioni che un nostro antenato nel medioevo avrebbe certamente disdegnato. Allora era il trionfo della selvaggina e della carne di maiale, dello zenzero e dei chiodi di garofano, senza fare nessun calcolo di calorie, accompagnato dal vino speziato. Le paste ripiene delle grandi occasioni celebravano gli eventi gioiosi della vita, la nascita e il matrimonio, ma anche una vittoria. L’uso della pasta ripiena era un modo alimentare che ha permesso ai più deboli di sopravvivere nonostante le frequenti carestie (da Rebora).

Cristina Borzacchini

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