Sono oltre la metà della popolazione italiana residente nel Nord e le aree più interessate sono Trentino Alto Adige, Lombardia e Veneto. Il fenomeno di coloro che si spostano ogni giorno e percorrono lunghe distanze per arrivare al lavoro, impiegando fatica e risorse economiche, interessa ogni giorno 30 milioni di italiani. Ma gli esperti avvertono: stress e danni per la salute sono parte della vita del pendolare ed è bene farci i conti. Se superano una certa soglia possono davvero condizionare il benessere dell’individuo, riducendo il suo tempo per fare sport, per stare con gli amici e la famiglia, per occuparsi adeguatamente dell’alimentazione e per rilassarsi a fine giornata. Ne abbiamo parlato con gli specialisti di Humanitas.
Il paradosso del pendolarismo
Con il lavoro sempre più precario e la mancanza di sicurezze contrattuali che caratterizza i tempi moderni è diventato sempre più difficile vivere vicino al posto di lavoro. Molte persone infatti non vogliono né possono permettersi di traslocare ogni volta che il loro lavoro cambia e si sposta in un luogo differente. Il risultato è tante, troppe ore passate quotidianamente in treno e in macchina. A volte si tratta di una scelta precisa: non vivere in città per poter godere della tranquillità e del minore inquinamento della campagna. Ma è davvero una scelta di salute?
Il cosiddetto «paradosso del pendolarismo» vede annullati nel viaggio i benefici regalati dal verde della periferia.
Gli effetti dell’alterazione del ritmo sonno-veglia
Secondo un recente studio, all’aumentare della distanza e dei tempi di percorrenza fra casa e lavoro, aumenta la gravità dei disturbi del ritmo sonno-veglia e l’incidenza dello stress cronico. «La precarietà, che obbliga la persona a cambiare e a non poter scegliere; la globalizzazione, che porta le aziende a spostare i dipendenti tra le sedi; le scelte di vita di chi, diversamente da un tempo, abita lontano dal luogo di lavoro» spiega Giuseppe Taino, medico del lavoro e primo autore di uno studio sugli effetti del pendolarismo sulla salute appena apparso sul Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia. «In Italia, questo è un problema poco studiato e normativamente scarsamente considerato, nonostante i suoi effetti siano anche di natura economica, viste le ripercussioni sulla produttività».
Nell’analisi, condotta su duecento lavoratori pendolari di tre aziende lombarde, sottoposti al controllo sanitario periodico, il suo gruppo si è concentrato su alterazioni del ritmo sonno veglia, insonnia, cefalea e disturbi dell’alveo, «tutti aspetti già noti per essere i più influenzati dal disagio» spiega Taino.
Smart working e lavoro flessibile fra le soluzioni
Il problema del pendolarismo potrebbe essere ridotto dalle aziende in due modi: lo smart working, che consente di lavorare dalla propria postazione di casa secondo il criterio degli obiettivi e non della presenza di in ufficio, ma anche dal lavoro flessibile, che consentirebbe di entrare in ufficio ad orari diversi, lontano dall’orario di punta.
Secondo il rapporto Censis-Michelin 2018, un pendolare in Italia fa circa 28,8 km al giorno e impiega 57,5 minuti. Un tempo prezioso, rubato al sonno o ad altre occupazioni come l’attività fisica, chiave della prevenzione metabolica, cardiovascolare e oncologica. Uno studio australiano associa invece al pendolarismo in automobile la tendenza ad aumentare peso, anche tra gli sportivi.
Se quello di viaggio è per alcuni tempo perso, per altri, tra mail e telefonate, è tempo lavorativo che il Censis quantifica in un mese di lavoro in più l’anno. Eppure, denunciano i medici del lavoro, «si continua a considerare solo quello che accade dentro l’azienda, cosa che porta a trascurare anche un altro aspetto cruciale: come emerge dal nostro lavoro, ad esempio, l’accoppiata pendolarismo e lavoro su turni, ancora prevalentemente maschile, ha un grande impatto sull’organismo».
I problemi del “lavoro agile”
Lo smart working, che secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano è balzato in avanti del 14% nel 2017, non è sempre la giusta soluzione. Lo è soprattutto per chi è in azienda e ha le tutele di un dipendente. Per i freelance, i liberi professionisti invece finisce per tradursi una costante sovrapposizione tra le coordinate spazio-temporali personali e lavorative, la cosiddetta Time Porosity. Il cosiddetto «lavoro agile» apre qui a tutta una serie di altri disturbi, come alienazione dovuta al fatto di essere sempre da soli con le proprie cose da fare e il “burn out”, quella condizione cioè in cui non si riesce più a distinguere il tempo personale da quello lavorativo e si finisce per “non staccare mai”, andando in contro ad un cortocircuito da super lavoro.
Però l’essere pendolare implica che una persona passi dalle 2 alle 4 o più ore al giorno in treno o sui mezzi di trasporto che lo portano sul posto di lavoro e qui è facile capire come il problema torni ad essere quello della sedentarietà. Oltre a tutta la sintomatologia posturale connessa al fatto di stare molte ore in una posizione costretta, in piedi o seduti, magari in presenza di forte aria condizionata. Il pendolarismo è certamente nemico della salute perché nemico dell’attività fisica, a cui toglie tempo prezioso e spesso difficile da trovare in altri momenti, della alimentazione sana, perché ci spinge a mangiare più spesso fuori e velocemente, e del sonno, perché altera i nostri orari e ritarda l’ora di andare a letto la sera o ci costringe ad alzarci eccessivamente presto.