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Benessere

Risveglio difficile? E’ colpa di un gene

13/12/2011

La necessità di dormire di più è conseguenza di un gene? Sì, secondo una ricerca anglo-tedesca pubblicata su “Molecular Psychiatry”. Il gene in questione è l’ABCC9 e chi ce l’ha avrebbe un bisogno fisiologico di dormire almeno mezz’ora in più per notte.

Il risveglio difficile o la necessità di dormire di più sono causati da un gene? Sì, secondo una ricerca pubblicata su Molecular Psychiatry condotta dagli studiosi scozzesi dell’Università di Edimburgo e da quelli tedeschi della Ludwig Maximilians University di Monaco di Baviera su oltre 10.000 persone che si sono sottoposte ad analisi genetiche e hanno compilato un questionario sulle abitudini del sonno durante i giorni festivi, cioè quando non sono costretti ad alzarsi. Il gene in questione è l’ABCC9, coinvolto nella rilevazione dei livelli di energia delle cellule del corpo. Le stesse mappature genetiche sono poi state condotte sui moscerini della frutta, che dal punto di vista genetico hanno comportamenti molto simili a quelli degli esseri umani, e hanno rilevato che quelli non portatori del gene dormivano in media tre ore in meno rispetto agli altri e che i portatori dell’ABCC9 hanno un bisogno fisiologico di dormire almeno mezz’ora in più per notte rispetto alla media delle otto ore consigliate dai medici per un sano riposo. E i “dormiglioni” che oggi, alla luce dello studio, non dovrebbero essere più considerati pigroni, sarebbero ben un quinto degli europei. Il risultato porterebbe, secondo i ricercatori, ad approfondire meglio gli effetti del sonno sulla salute. Ma è davvero così? Gli esperti invitano alla cautela. Ne parliamo con Paolo Vezzoni, ricercatore del CNR che in Humanitas dirige il Laboratorio di Biotecnologie Mediche.

Dottor Vezzoni, questa scoperta è davvero così importante?
“Per ora serve cautela e deve essere presa con le pinze. Direi che è ancora d’obbligo usare il condizionale. Innanzitutto oggi l’associazione tra un singolo gene e una malattia (i cosiddetti ‘tratti monogenici’) si trova abbastanza facilmente, mentre per le malattie complesse si usa la tecnologia del ‘Genome Wide Association Scanning’, un sistema che analizza l’intero genoma con semplicità e a un basso costo. Ma la maggior parte delle malattie complesse sono poligeniche, cioè hanno più varianti, quindi un solo gene non significa avere la malattia anche se, sicuramente, una variante dà una probabilità maggiore di incorrerne”.

Ma non si può neppure escludere?
“Il dato è curioso, ma non sufficiente. Servono ulteriori studi, molto più vasti e non basati solo su una statistica relativa e un questionario. In altre parole, il dato va confermato su casistiche più ampie. In linea di principio non si può certamente escludere che la genetica abbia un ruolo nella nostra propensione al sonno (in questo ambito neurologico, per esempio, esiste il gene della narcolessia, una condizione in cui gli individui affetti cadono improvvisamente preda del sonno), ma neppure validare geneticamente, almeno per il momento. L’influenza sul sonno può essere ancora tanto ambientale quanto genetica. Va, infatti, notato che anche accettando le conclusioni di questo lavoro, la variante del gene ABCC9 spiega soltanto il 5 per cento della variabilità totale”.

Se venisse confermato avrebbe influenza sulla salute?
“Sì, nel senso che le persone con un bisogno fisiologico di dormire di più sarebbero più a rischio di incorrere in problemi di salute legati alla mancanza di sonno rispetto a quelli che non sono portatori di questo gene. Si dovrebbero, quindi, attuare accorgimenti in loro tutela come prevedere orari di lavoro più flessibili. Ma non è ancora questo il momento giusto per parlarne. Tra una decina di anni, grazie al sequenziamento sempre più sofisticato e vasto dei geni, si potrà avere un quadro chiaro della situazione. Per il momento non ci sono ancora scuse per dormire”.

A cura di Lucrezia Zaccaria

 

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