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Malattie del terzo millennio: quando i videogiochi sono un pericolo

28/04/2003

Claudio, un bambino di dieci anni, è un appassionato giocatore di videogiochi da collegare alla Tv. Dopo alcune ore trascorse con il viso appiccicato al video, viene preso da contrazioni e scosse muscolari che continuano per un minuto dopo l’interruzione del gioco. Cos’è successo? Claudio è uno dei 5-8 bambini su 1.000 che soffrono di epilessia fotosensitiva, per i quali gli stimoli luminosi possono diventare pericolosi.

In alcuni episodi di cronaca i videogiochi sono stati messi sotto accusa per avere provocato assenze e convulsioni; secondo gli esperti, però, la loro pericolosità è reale solo per chi soffre di epilessia fotosensitiva e per chi, non avendo mai avuto una crisi, non sa di essere fotosensibile. Uno dei casi più discussi è stato quello dei 685 bambini fotosensibili che nel 1997 in Giappone ebbero una crisi epilettica guardando il cartone animato Pokemon, che fece raggiungere al loro cervello uno stato di sovreccitazione.

Il motivo? La presenza, nelle immagini, di un eccessivo contrasto luminoso.
Non la velocità dunque né il contenuto degli stimoli visivi, ma la differenza di luminosità tra gli elementi chiari e quelli scuri è in grado di scatenare una crisi di quella che i quotidiani hanno chiamato epilessia da videogame.

“Il cervello di chi soffre di epilessia fotosensitiva manca proprio del meccanismo di controllo che consente di tollerare il contrasto” dice Vittorio Porciatti, neurofisiologo e ricercatore Dipartimento di oftalmologia dell’Universita’ di Miami, autore di uno studio in proposito pubblicato da Nature Neuroscience nel 2000. “Il cervello, che funziona in modo da cogliere efficacemente lo stimolo, amplifica il segnale luminoso quando è minimo e lo deprime quando è troppo forte.
I soggetti fotosensibili non hanno questa sorta di compensazione, e davanti a un forte contrasto visivo la loro attività cerebrale continua ad aumentare, porta il cervello in un pericoloso stato di sovreccitazione e può causare attacchi di epilessia.”

Una volta diagnosticata, l’epilessia fotosensitiva deve essere curata. “A Claudio è successo con un videogame collegato alla televisione. Da quel primo attacco epilettico, il bambino presenta talvolta brevi assenze mentre guarda la televisione; le assenze sono attacchi di intensità minore e limitati prevalentemente alle aree visive. Claudio assume ogni giorno farmaci in grado di ridurre l’eccitabilità del cervello stimolato dalle immagini; lo scopo è quello di evitare un secondo attacco epilettico, che potrebbe aumentare il rischio di avere altre crisi e di riportare un danno cerebrale.”

“Sappiamo che nella fascia di età che va da 4 a 14 anni il 5-8 per mille dei bambini soffre di epilessia fotosensitiva, ma a questi vanno aggiunti coloro che, non avendo mai avuto una crisi, non rientrano nelle statistiche e non sanno che gli stimoli visivi potrebbero portarli ad avere assenze, svenimenti, allucinazioni o crisi con contrazioni muscolari” spiega Porciatti. “Le ragazzine per esempio, che hanno una probabilità doppia rispetto ai maschi di essere fotosensibili e hanno un diverso modo di trascorrere il tempo libero, più facilmente possono avere una crisi a causa dei flash di luce utilizzati nelle discoteche.”

Le avvertenze sulle confezioni dei videogiochi raccomandano di interrompere il gioco ogni ora, di essere distanti dallo schermo e di non giocare se si è stanchi o ci si trova in una stanza poco illuminata, a testimonianza del fatto che il modo di utilizzare gli strumenti sofisticati che oggi fanno parte della vita quotidiana può essere decisivo nel renderli dannosi: l’eccessiva vicinanza allo schermo, dovuta nel caso di Claudio al fatto che il cavo di collegamento era troppo corto, ha avuto una parte importante nel concorrere a scatenare la crisi epilettica.

A cura di Debora Bellinzani

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